Inside Out, ancor prima della sua “veste grafica” e del comparto tecnico connaturato al film, cattura per il pathos narrativo insito nella storia, per il suo modo, semplice, ironico e silenzioso, di indagare gli anfratti umani e di plasmare volatili teorie astratte, trasformando gli intricati labirinti della mente in qualcosa di concreto. La forza primordiale del film della Pixar si ancora infatti alla potenza del soggetto, alla drammaticità evolutiva degli eventi, che rendono le accurate complessità dell’animazione ancor più centrate, esperendo la nudità e il caos delle emozioni senza filtro alcuno.
Così come i sentimenti di Gioia, Rabbia, Tristezza, Paura e Disgusto, personaggi/metafora di un immaginario inconscio che intende spingersi verso una coscienza materiale, affollano la testa dell’undicenne Rilye, allo stesso modo le scale cromatiche, le personalità e i movimenti dei protagonisti si caricano di empatia e di energia.
La stessa squadra di Up, capitanata dal regista Pete Docter, rifugge così dall’ambiente esterno per esplorare l’interno celato, quello fatto di discariche di memorie da conservare e di biblioteche di ricordi da spazzare via con l’aspirapolvere, di sogni meta-cinematografici infranti e ancora da realizzare, di parchi giochi fantastici e amici immaginari, come Bing Bong, tracce di un sentimento bambino che svanisce nell’oblio per aprirsi al nuovo e alla crescita, di subconscio oscuro e inquietante che allude ai film horror e di destrutturazione cubista e bidimensionale del pensiero astratto.
L’attitudine immateriale del processo cognitivo vive dunque di sfaccettature semantiche traslate nella personificazione stessa delle emozioni, tra isole intangibili e treni dello spirito, conscio e inconscio, visioni oniriche e realtà distorte, specchio e riflesso di un’anima nascosta che si spinge verso lo stadio successivo della propria esistenza.
In questo film dal forte impatto introspettivo, che sembra idealmente costituire un ulteriore tassello nel personale studio sulla crescita del regista avviato con Monsters & Co. e proseguito con Up, il rito di passaggio è l’esplorazione stessa della psiche umana che non può resistere al cambiamento, è l’allegoria velata di una sorta di produttività capitalista, che rivive nel tormentone reiterato di una pubblicità di gomma da masticare e nel concetto di umanità, ridotta a fabbrica di emozioni, che tenta di sfuggire al controllo razionale e imposto.
Inside Out è in definitiva un universo fatto di stanze della memoria, un itinerario profondo e poliedrico di flussi di pensieri sferici che rifuggono l’ipocrisia melliflua dei sentimenti. È un ipotalamo filmico che scruta le voci di dentro all’interno di un viaggio di formazione e catarsi che culmina nell’accettazione delle emozioni, nel disegno di una tavolozza emozionale in cui anche la tristezza gioca un ruolo indispensabile al raggiungimento di quella felicità che illumina le sale della vita.