venerdì, Novembre 22, 2024

Interruption di Yorgos Zois: la recensione in anteprima

In un teatro di Atene va in scena l’Orestea, la trilogia con cui nel 458 a.C. Eschilo vinse le Grandi Dionisie.
Si tratta dell’ adattamento di Agamennone, Coefore ed Eumenidi,  una di quelle rivisitazioni del classico che il teatro contemporaneo ama produrre con scenografie, costumi e rielaborazioni linguistiche in chiave post-moderna.
Scorrono le didascalie della sinossi, il dramma inizia disponendo sulla scena il coro e facendo entrare i protagonisti, ma ecco che improvvisamente si spengono le luci.
La realtà fa irruzione sulla scena, giovani armati e vestiti di nero salgono sul palco e invitano il pubblico a partecipare alla recita. Questa prosegue, ma con dinamiche nuove messe in gioco dalle condizioni mutate, guidate da una regia sperimentale che punta a sostituire la vita vera al dispositivo finzionale, lasciando gli attori all’oscuro dello sviluppo dei fatti tanto quanto può esserlo il pubblico in sala:
Quando è iniziata la sparatoria, ognuno ha ricevuto lo script in base alle improvvisazioni di prova, ma non c’era nessun terzo atto scritto. Nessuno sapeva cosa sarebbe successo; tutti l’hanno scoperto il giorno delle riprese.”
Chiaro il legame con la cronaca terroristica degli ultimi decenni, l’evento teatrale si fa evento reale ed è il 23 ottobre 2002, allorchè quaranta terroristi ceceni delle cosiddette Brigate Islamiche sequestrarono 850 civili che assistevano ad uno spettacolo nel teatro Dubrovka di Mosca e li tennero in ostaggio dal 23 al 26 ottobre.
Paradossalmente, ma non troppo, il pubblico sulle prime credette che l’attacco facesse parte dello spettacolo.

Espediente provocatorio e di rottura è quello di Zois, già a Venezia con i cortometraggi Casus Belli (2010) e Titoli Telous (2012), nel mettere in campo come lungometraggio l’Orestea, con una scelta registica molto attenta a cogliere rimandi millenari:
L’Orestea è un mito universale e rimane ancora in vita perché contiene gli interrogativi fondamentali dell’essere umano che mi interessano: potere, vendetta, ruoli, identità e catarsi. Nel momento stesso in cui apparve, si rivelò un mistero per il pubblico, un enigma teatrale per il linguaggio che usa, per ciò che nasconde e ciò che implica”.
Cogliendo dunque il senso profondo del teatro eschileo, Zois ne trasferisce la lezione al presente, riveste l’enigma delle forme che il dispositivo cinematografico consente e lo reinterpreta:
Interruption sfida il nostro modo di percepire la realtà e si concentra sull’idea che vediamo ciò che ci aspettiamo di vedere”.
A questo punto c’è lo scarto, la catarsi negata.
Il pubblico del teatro greco sapeva che l’arte imita la vita, assistere alla tragedia sulla scena era liberatorio:
Poi c’è il piacere che tutti provano davanti alle opere: quelle cose che ci fanno soffrire quando le vediamo nella realtà, ci recano piacere se le osserviamo in immagini che siano il più possibile fedeli, come i disegni delle bestie più sordide o dei cadaveri.” (Aristotele, Poetica, 1148 b 4-12).

Il pubblico di Zois è invece incapace di capire chi sono gli attori, chi sta recitando e chi guardando. La macchina inquadra spesso la sala inglobando la massa degli spettatori nello spettacolo, sceglie addirittura di coinvolgere gli spazi adiacenti, corridoi, ingresso, toilettes, facendoli rimbombare dei suoni interni alla platea, crea un tutto sonoro disorientante e frastornante in cui spettatori e attori finiscono per fondersi.
Saltano così le barriere tra realtà e finzione, scopriamo che la vita imita l’arte e non viceversa e, soprattutto, capiamo l’immenso potenziale del cinema nel diventare vita dello spettatore.
A parte gli ovvi, ma sempre utili da sottolineare, rimandi che dal cinema si trasferiscono all’intero mondo della comunicazione mass-mediale e al potere pressochè illimitato di condizionamento e indottrinamento delle masse, per restare all’ambito esclusivamente cinematografico non possiamo non tornare con la mente alla simpatica figura massiccia di Slavoj Zizek e alla sua indimenticabile The Pervert’s Guide To Cinema (2012), sempre lì a ricordarci che la realtà e l’immaginario non sono mondi separati ma parti di uno stesso, gigantesco puzzle:
Il problema non è tanto capire: siamo appagati? Il problema è capire cosa desideriamo. Non c’è niente di spontaneo, di naturale riguardo ai desideri umani. I nostri desideri sono artificiali, bisogna che qualcuno ci insegni a desiderare. Il cinema è l’arte perversa per eccellenza.
Non ti offre quello che desideri, ti dice come desiderare.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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