Nuova commedia per Seth Gordon, sviluppata a partire dal contesto economico-lavorativo statunitense contemporaneo, ossessione ormai manifesta per il regista di Freakonomics, che dopo il precedente film di finzione, Horrible Bosses, e una serie di episodi girati per la serie televisiva Breaking In, torna nei luoghi dove si forma la classe dirigente Americana.
Scritto da un astro nascente della commedia ad orologeria come Craig Mazin (sue le sceneggiature per gli episodi due e tre di “una notte da leoni” di Todd Phillips, quella per Senseless di Penelope Spheeris e la regia di Superhero) il film è interpretato da una fenomenale Melissa McCarthy, recentemente vista nel terzo episodio di “Una notte da leoni“, e da Jason Bateman, finanziere di Denver, che dovrà subire ogni tipo di tortura, economica e psicologica, da parte della strabordante donna; con un’azione di scam telefonico, Diana, una donna residente in Florida, ruba l’identità di Sandy Bigelow Patterson, il personaggio interpretato da Bateman; tutti i suoi conti bancari, le carte di credito e qualsiasi ID elettronico riconducibile alla sua persona vengono clonati e utilizzati per acquisti di ogni tipo. Arrivato ad un punto di non ritorno e con il rischio di perdere il lavoro, Sandy, buon padre di famiglia con a carico due figlie e un terzo in arrivo, deciderà di partire per la Florida per smascherare la delinquente che ha abusato di lui e per scagionarsi definitivamente da qualsiasi accusa. Una volta sul luogo, si scontrerà, letteralmente, con il fisico possente di Diana, femmina oversize capace di scatenare un caos indomabile intorno a se; un vero e proprio tsunami che continuerà a travolgere la vita del povero Sandy lungo un road movie sgangherato srotolato attraverso tutti i luoghi tipici del genere, dalla strada alla bettola, dalla bettola allo squallido motel abbandonato sulla statale.
Niente di nuovo, almeno apparentemente, se non un potenziamento del “Buddy movie” in una direzione battuta, anche recentemente, da un film come The Guilt Trip (parto con mamma) interpretato da Seth Rogen e Barbra Streisand, ma rispetto al film di Anne Fletcher, Identity Thief è certamente un film più scorretto e laido.
Senza mezzi termini, la figura della McCarthy ha la stessa qualità borderline di un “Bluto Blutarsky” , corpo strabordante, un dialogo diretto con le proprie esigenze fisiologiche, una diretta espressione della propria presenza in termini di appropriazione violenta della centralità dell’inquadratura, tanto che l’unica relazione funzionale che Diana stabilisce con lo spazio e i personaggi che lo occupano, è quella di uno schiacciasassi. Rogen e Mazin le ritagliano quindi una scrittura che punta soprattutto alle funzioni sessuali, fulcro centrale della modalità di relazione di Diana, sia da un punto di vista verbale, sia che sul piano dell’azione, si masturbi rumorosamente oppure si faccia scopare in un’esuberante scena anal da Big Chuck (Eric Stonestreet), ricco vedovo ingioiellato, adescato in un bar da quattro soldi.
“Io sono tu” si regge completamente sulla performance di Melissa McCarthy e su una serie di intuizioni a catena che non superano il limite di sicurezza della trovata divertente, questo perchè il film di Seth Gordon sembra avere serie difficoltà a seguire questa delirante lotta tra corpi; la forza distruttiva di Diana viene costantemente normalizzata da una forma sin troppo patinata, basta vedere alcune scene frequentative legate al viaggio, che Gordon risolve con quel tecnicismo un po’ clipparo che ha una derivazione negativamente televisiva.
L’integrazione finale del personaggio in un contesto famigliare, con questa vittoria dei sentimenti che riporta tutto entro il confine dell’accettabilità, suona un po’ come una campana a morto, se si considera che per tutto il film la McCarthy domina la scena senza farsi addomesticare, anzi cercando di fuggire, letteralmente, dall’inquadratura, e quando non riesce, distruggendola.
Viene in mente, in un contesto simile anche se sviluppato interamente all’interno del mondo del lavoro, lo splendido serial televisivo ideato da Mike White insieme a Laura Dern e intitolato Enlightened; in questo caso, la forza demente e distruttiva del personaggio interpretato dalla Dern, almeno per quanto riguarda la prima stagione, non si ferma neanche davanti alla chiusura obbligata della serie, mandando a fuoco tutto quanto.