martedì, Novembre 5, 2024

Iron Man/Iron Man II di John Favreau (USA, 2008/2010) il Superuomo glamour all’alba del secondo millennio.

In principio fu Superman. Il film diretto da Richard Donner nel 1978 riaccese l’interesse del grande pubblico per il fumetto supereroico e dette origine ad una serie di fortunati sequel. Il successo delle pellicole convinse Hollywood ad attingere nuovamente al bacino della DC Comics alla fine degli anni ottanta, portando nelle sale la figura di Batman. Inizialmente una creatura gotica partorita dalla mente di Tim Burton, il personaggio divenne il primo esempio di franchise cinematografico basato su un supereroe: nel corso degli anni novanta Joel Shumacher sarebbe subentrato a Burton per dirigere le avventure dell’uomo pipistrello, abbassando drasticamente la qualità della proposta ma raggiungendo notevoli incassi al botteghino. Gli stessi anni avrebbero visto la proliferazione delle pellicole sugli eroi mascherati, perlopiù incentrate su personaggi “minori” come The Crow, Spawn e Blade. Al volgere del secondo millennio i film a tema supereroico hanno raggiunto la loro massima popolarità: gli ultimi dieci anni hanno visto letteralmente saccheggiato l’archivio della Marvel Comics, con la trasposizione cinematografica delle serie X-Men (2000), Spiderman (2002), Hulk (2003), Daredevil (2003), Fantastic Four (2005), Ghost Rider (2007). Come se ciò non bastasse, ha fatto la sua comparsa il primo reboot di genere: in Batman Begins (2005) Christofer Nolan rifiuta la continuità con le pellicole degli anni novanta, proponendo una nuova versione delle origini del personaggio. I progressi nel campo della computer graphics e degli effetti speciali hanno certamente contributo a rendere più spettacolari e credibili le performance cinematografiche dei supereroi, accrescendo notevolmente l’impatto visivo delle pellicole. Ciononostante sceneggiatura, regia e cast non si sono sempre dimostrati all’altezza delle risorse impiegate. Gli X-men di Singer e lo Spiderman di Raimi hanno sicuramente saputo ritagliarsi un proprio spazio specifico nell’immaginario collettivo. Il Batman di Nolan detiene il merito di aver riproposto un cavaliere oscuro in linea con lo spirito dei primi due film, dopo il massacro che il personaggio aveva subito ad opera di Shumacher. Altrove però i tentativi di speculare sul genere hanno prodotto risultati trascurabili, se non addirittura imbarazzanti. Considerato che il reboot di Hulk ha visto la luce dopo soli 5 anni dal primo film e che quello di Spiderman è previsto per il 2012, verrebbe da chiedersi se la rinascita del filone supereroico non sia ormai giunta al proprio nadir. In tale contesto l’Iron Man di John Favreau rappresenta uno fra i tentativi meglio riusciti di trasposizione sul grande schermo di un eroe dei fumetti. Se è vero che negli ultimi anni gli spettatori hanno dimostrato particolare affezione nei confronti dell’immaginario superominico, la figura dell’uomo di ferro dovrebbe porsi come candidato ideale ai favori del grande pubblico. Iron Man rappresenta infatti l’incarnazione suprema dell’übermensch nietzschianamente inteso: Tony Stark non riceve dalla sorte alcun potere soprannaturale, la sua forza risiede piuttosto nell’ingegno e nella volontà, nella capacità di piegare gli eventi a proprio favore. Prigioniero dei nemici, costruisce a partire da materiali di fortuna un’armatura che gli permette di guadagnare la libertà. Tale dispositivo, opportunamente perfezionato in un secondo momento, sarà il tramite che permetterà all’uomo di trascendere la sua natura terrena. Oltre alla mancanza di tradizionali superpoteri, sono in larga misura le componenti psicologiche della personalità di Stark a differenziarlo dai colleghi. A fronte di eroi ombrosi (Bruce Wayne), titubanti (Peter Parker) o tormentati dal proprio passato (Logan/Wolverine), Iron Man incarna lo stereotipo del vincente, sicuro delle proprie capacità e non privo di una certa dose di narcisismo. Nelle intenzioni del creatore Stan Lee – santo patrono della Marvel Comics – il personaggio costituiva una sfida: rappresentava tutto quello che i giovani lettori avrebbero potuto detestare in piena guerra fredda, un’epoca contraddistinta della corsa agli armamenti e dall’opposizione studentesca al conflitto in Vietnam. Stark è un geniale ingegnere, ma anche un ricco industriale che fabbrica armi per il governo statunitense, un playboy e un esibizionista. Non per questo, tuttavia, è privo di attributi nobili ed eroici. La prigionia fa maturare in lui una nuova consapevolezza, e il suo impegno nell’aiutare il prossimo deriva proprio dalla volontà di riparare ai danni che derivano dalla sua attività economica. Quel che dal “vecchio” Stark si trasferisce senza mediazioni al “nuovo” è proprio l’atteggiamento tracotante: l’industriale intende svolgere la professione di paladino allo stesso modo in cui ha condotto la propria esistenza fino a quel momento, vale a dire senza freni. Se il personaggio convince è proprio perché, nel percorso da cinico a idealista, non perde quella leggerezza in cui risiede gran parte del suo fascino. Questa caratteristica, in definitiva, lo rende ai nostri occhi molto più umano di tanti suoi colleghi. Iron Man non si preoccupa di mantenere un’identità segreta, sembra anzi compiaciuto della propria condizione di eroe e dell’adorazione che le masse dimostrano nei suoi confronti. Svolge questo compito in maniera disinteressata, tuttavia non dimostra umiltà riguardo al proprio ruolo (“… vi ho fatto un grosso favore: ho privatizzato con successo la pace nel mondo!”, dichiara Stark di fronte ad una commissione governativa che vorrebbe ricondurre l’armatura sotto il controllo del pentagono). È un irregolare, uno spaccone che risponde solo a sé stesso, al contrario del ben più misurato James Rhodes, con cui i contrasti esploderanno nel secondo film. Il carisma sprigionato dal personaggio cattura con successo lo spettatore, tanto che l’identificazione con il protagonista risulta assolutamente naturale. Gran parte del merito in questa operazione va all’interpretazione sopra le righe di Robert Downey Jr., in entrambe le pellicole ai suoi massimi livelli. Lui è la sua verve straordinaria sono il fulcro intorno al quale si muove l’intera saga. Ma in generale risultano ottime le performance di tutti i comprimari, a partire da un’affascinante Gwnyneth Paltrow nel ruolo di “Pepper” Potts, l’assistente personale di Stark. I continui ammiccamenti e la tensione sessuale che si instaura tra i due attori contribuiscono a stimolare la curiosità e a mantenere alta l’attenzione dello spettatore. Bravi anche gli antagonisti: dall’Obadiah Stane di Jeff Bridges, al massimo del suo impareggiabile trasformismo, fino al Justin Hammer di Sam Rockwell, portato sullo schermo in versione loser frustrato. Menzione d’onore per Mickey Rourke nel ruolo di Ivan Vanko/Whiplash: abbandonate per sempre le velleità da sex symbol anni ’80, l’attore si trova sempre più a suo agio nell’interpretare mostri e reietti. Come già in The Wrestler (recensito qui su indie-eye Straneillusioni ) l’esposizione del suo fisico martoriato, fuori forma e tatuato costituisce il passaporto per la credibilità artistica. A tenere insieme il cast contribuisce un ottimo lavoro di sceneggiatura: senza la forte impostazione ironica che caratterizza lo script, il risultato non sarebbe stato certamente lo stesso. Passando ad analizzare l’aspetto prettamente visuale delle due pellicole, non si può fare a meno di notare come gli effetti speciali vengano utilizzati in maniera estremamente misurata. Sono un mezzo per rendere la storia più avvincente, ma non costituiscono mai un fine come in tante altre pellicole di genere. L’eccellente mecha design – a cui ha collaborato Adi Granov, disegnatore di Iron Man per la Marvel – è stato sviluppato solo in parte grazie alle potenzialità della computer graphics, ottenendo risultati notevoli in termini di aderenza dell’immagine al girato. L’aspetto fortemente “concreto” delle armature riporta alla mente gli esempi di film anni ottanta come Robocop. Proprio il personaggio sviluppato da Verhoeven sembra costituire l’ispirazione più evidente dell’alter ego di Stark, a partire dal design della corazza fino alle movenze “idrauliche” dell’Iron Man in azione. Ai più attenti non saranno sfuggite le citazioni con cui Favreau omaggia la figura del cyborg poliziotto: dal terrorista afferrato attraverso il muro, alla battaglia tra Iron Man e Iron Monger, che tanto ricorda quella fra Robocop e la sua controparte nel secondo capitolo della saga. Se questi aspetti vi avevano entusiasmato già nel primo episodio, sarete ampiamente soddisfatti dal sequel. Questa volta i battle suit sono ben tre: la nuova armatura di Stark, caratterizzata dal repulsore sul petto di forma triangolare; il modello Silver Centurion, armatura leggera che fuoriesce da una valigetta, usata nelle prima battaglia contro Whiplash; il modello War Machine, equipaggiato con armi pesanti e indossato dall’amico Jim Rhodes nelle spettacolari sequenze finali. Iron Man II: Bigger. Faster. Better.

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è ricercatore in Scienze Storico-Sociali presso l'Università degli Studi di Firenze, giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco. Was ist ist, was nicht ist ist möglich. Nur was nicht ist ist möglich.

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