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Ji Yuan Tai Qi Hao (Number 7 Cherry Lane) di Yonfan – Venezia 76, Concorso: la recensione

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#e6c019″ class=”” size=””]Sinossi: Nella Hong Kong degli anni ’60, durante l’ascesa del benessere economico, emerge una pericolosa corrente sotterranea. No.7 Cherry Lane racconta la storia di Ziming, studente universitario dell’Università di Hong Kong, invischiato tra i suoi sentimenti amorosi verso una madre auto-esiliatasi nel periodo del Terrore Bianco di Taiwan, la signora Yu, e la sua bellissima figlia Meiling. Lui le conduce a vedere diversi film, e attraverso una serie di momenti magici sul grande schermo, le passioni proibite vengono svelate. L’era coincide con i tempi turbolenti del 1967.[/perfectpullquote]

In Number 7 Cherry Lane Yonfan sembra non smettere mai di ricordare. L’indice testuale di questa attività memoriale extradiegetica non è l’autobiografismo, evidente per chi conosce i trascorsi giovanili del regista cinese, ma la difformità dalle tecniche di animazione combinate, l’instabilità del sistema narrativo che sostiene il racconto.

La storia d’amore tra un giovane studente, una ex rivoluzionaria e la sua figlia adolescente, a cui il primo da lezioni di inglese, è infatti completamente sovrascritta da un punto di vista straniante che non permette agli eventi di stabilizzarsi su una frequenza obiettiva: si è nel corpo del ricordo, nella sua carne cartacea e digitalizzata a un tempo, nella rappresentazione creativa di un frammento di mondo personale.

Del ricordo infatti il film possiede la morbidezza della nostalgia amorosa, l’incomprensibilità delle sciarade oniriche, lo shock sinestetico che nasce dalle associazioni sensoriali più libere, l’erotismo del desiderio immerso nella continua rifrazione e la consapevole impossibilità di fermare il reale.

Quest’ultime due caratteristiche del tessuto memoriale sono quelle che più emergono nel film di Yonfan: la frammentazione e ricomposizione del desiderio in nuove forme e la fuga della realtà da qualsiasi forma di congelamento rappresentativo.

Il desiderio è uno sguardo: si sviluppa nella continua disposizione degli amori e viene amplificato o addirittura elevato a potenza da una serie di schermi cinematografici, specchi interni al racconto in grado di far riflettere l’immagine nell’immagine.

La realtà fugge dalla comprensione: per quanto sia possibile descrivere gli accadimenti (anche con la voce narrante) questi sfuggiranno sempre alla logica della realtà. La memoria è composta dal desiderio, sguardo amoroso e sofferto all’indietro, che prova a fissare qualcosa che non può essere fissato, una realtà che evade ogni legge realistica: come in un Nastro di Möbius la realtà fugge per essere catturata e il tentativo di cattura innesca la fuga.

Il ricordo è quindi un modo di vedere e di rappresentare che non riesce a rappresentare, una forma cinematografica, oltre che letteraria (Proust pervade e suggestiona), che esiste perché impossibile.

Un fiore paradossale.

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