Joaquim Jose da Silva Xavier é un vero e proprio eroe nazionale in Brasile. Soldato al servizio dei colonialisti portoghesi del diciottesimo secolo, a un certo punto si ribella contro i suoi superiori aggregando un gruppo di ribelli clandestini chiamato Inconfidencia Mineira, il cui progetto sarebbe dovuto diventare quello di una repubblica brasiliana indipendente. Una rivoluzione negata quella di Xavier ed é proprio su questo aspetto che Marcelo Gomes insiste fin dall’inizio, con l’immagine di apertura che ritrae la testa del ribelle issata su un palo e posta davanti ad una chiesa. L’unica testa a rotolare, dice la sua voce fuori campo, fu la mia.
Il cineasta brasiliano introduce in questo modo un racconto in soggettiva, con una voce narrante che ne tesse le fila, mentre in forma ellittica chiude con un anelito di speranza, un procedimento beffardo che contrasta con l’immagine iniziale sostituendo l’epilogo vero e proprio per concentrarsi sulla trasformazione di Xavier, le sue visioni, la presa di coscienza, il rapporto con Blackie, la donna che per sopravivvere offre servigi sessuali ai suoi padroni e che lo aiuterá nella prima fase della rivolta.
Gomes sceglie uno stile diretto, aspro e violento, con moltissimi close-up nelle sequenze piú crude e numerose allusioni al modo in cui Glauber Rocha utilizzava gli elementi del cinema western in un contesto “tropicale”. Le differenze sono ovviamente notevoli e Gomes sembra molto piú interessato a giocare con le lenti anamorfiche e il formato panoramico per esaltare la presenza della natura in una direzione piú tradizionale e forse senza una grandissima capacitá di lavorare sui corpi e lo spazio.
Le forzature sono moltissime, soprattutto a livello politico, tanto che il pensiero di Xavier sembra adattato ad una presa di coscienza troppo vicina alla sensibilitá contemporanea, il confronto con le colonie del nord america, immaginate dal ribelle come la migliore delle utopie, é un esempio tra tanti.
Ma al di lá della verosimiglianza storica, che ci interessa fino a un certo punto, Joaquim é un film sbilanciatissimo e negativamente dilatato. Tutta la parte in cui Xavier attraversa una terra pericolosa e prende progressivamente il comando della spedizione, é riempita di momenti didascalici dove la grande assente é proprio la natura, non per una scelta precisa, ma per una preoccupante incapacitá nel raccontarla. In contrasto, le sequenze piú violente sono realizzate con il tentativo di avvicinare la macchina da presa ai corpi, al sangue, al dolore, ma in un modo non del tutto convincente.
Gomes, che in tutta la sua filmografia si é concentrato sul Brasile contemporaneo, tra racconti minimi e anche un road movie, non sembra a suo agio con l’affresco storico e realizza un piccolo film diseguale dalle grandi ambizioni, ma che purtroppo rimane incagliato in una zona inerte, risultando noioso, irrisolto e ingenuo.