venerdì, Novembre 22, 2024

John Wick di David Leitch e Chad Stahelski: la recensione

Che il film di David Leitch e Chad Stahelski sia tutta una questione di geometria, movimento shoot-em-up e danza è confermato anche dalle tracce che i due ex-stuntmen lasciano durante il corso del film; è il volume dedicato all’architetto portoghese Álvaro Siza Vieira che si vede all’inizio del film abbandonato su un tavolo nell’appartamento di John Wick, quasi un’indicazione preliminare rispetto alla razionalità degli ambienti, tutti vetro, cemento e metallo, filmati come parte di un sottomondo espressionista che fa da sfondo alle figure acrobatiche dei numeri di lotta e scontro, diretta emanazione dell’esperienza dei due autori e allo stesso tempo congegno spettacolare che mette in relazione corpi e spazio come elementi di uno show la cui anima è quella di combinare linee coreografiche e razionalitá visiva. Un mix tra determinismo e astrazione simbolica che punta alla superficie, tanto che il club dove i killer della malavita cittadina si ritrovano, mondo autoctono regolato da un codice interno, si chiama ‘The Red Circle’ come uno dei film più belli di Jean Pierre Melville, riferimento che ovviamente ha un valore ludico e non si spinge mai al di sotto della filosofia volumetrica e ipercinetica del film.

Che non venga quindi in mente a qualcuno di imbastire un’improbabile paragone con The Equalizer di Fuqua, perché al netto della mafia russa, di quella stratificazione che si riferisce anche al personaggio interpretato da Denzel Washington, qui rimane solo un accenno superficiale, per lo più legato al cortocircuito del revenge movie che trae linfa vitale da una rappresentazione endogena del mondo del crimine, ormai l’unico territorio in grado di generare antagonisti, eroi maledetti, non-morti che ritornano dal passato; per il resto c’è anche un riferimento verbale tiepidissimo e assolutamente scoperto al film di Fuqua, quando il boss della mafia russa racconta di aver visto John Wick uccidere tre uomini con una matita, viene in mente la mattanza a colpi di tirabusciò filmata dal regista afroamericano,  segno di un modello a cui Leich-Stahelski guardano, ma che fa parte della marmellata post-moderna di cui parlavamo.

Siamo quindi più dalle parti del recente ‘Man of Tai Chi’ diretto dallo stesso Reeves, che qui interpreta una vera e propria macchina da guerra, il cui scopo è terminare il numero di danza oppure assumere il punto di vista di una sessione videoludica, a questo proposito il film strizza l’occhio alla velocitá shoot-em-up, non solo perché la mette in scena, ma anche perché la utilizza come controcampo esplicito, nella sequenza in cui i tizi che hanno rubato la macchina di Wick e gli hanno ammazzato il cane, sono impegnati davanti ad un videogame, mentre il sicario li tiene sotto tiro dal palazzo di fronte, da una prospettiva speculare.

Se non si prende troppo sul serio la conclusione finto-crepuscolare, con tanto di nuovo cane al seguito, John Wick è tutt’altro che un film notturno; al contrario illumina a giorno i movimenti di una danza che mette dentro un po’ di tutto, dal fumetto al confine tra action e slapstick fino alle geometrie urbane tra fantasia e razionalità, insomma un soprammobile, niente di più.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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