A bordo di una lussuosa nave da crociera tra i mari tropicali, Ronnie non passa inosservato. È un omone di sangue blu, alto e grasso, e con un nome composto da decine di nomi (Ronald Busch Reisinger… di Inneryne) Passa il suo tempo a raccontare le mirabolanti avventure della sua vita, tra incidenti giocando a cricket a dorso di elefante in India e litigi con la nobiltà inglese in un enorme castello. Come dice lui stesso: «Sono la persona più interessante che possiate incontrare». Questo bizzarro, simpatico ed esuberante “personaggio” è il protagonista di King of the Cruise dell’olandese Sophie Dros, presentato all’interno dell’ultima, virtuale edizione del Biografilm Festival.
Inquadrato da lontano Ronnie sembra però quasi sparire, a dispetto della sua stazza, piccolo come diventa tra la folla della grande nave. I suoi racconti e i suoi travestimenti sembrano un modo per cercare di tornare in primo piano, l’unica condizione in cui dimostra di sentirsi a suo agio. Ma a Dros, che con il suo cinema ha sempre raccontato un’umanità diversa da quella cui siamo abituati, interessa proprio questo, dare forma pubblica e visiva alle confessioni orali e private del suo protagonista.
Al sicuro della sua cabina, Ronald confessa ciò che ai suoi compagni di crociera non si sognerebbe mai di raccontare: il doloroso rapporto con la madre, la perdita del suo unico vero amore, la paura di una morte sempre più vicina. Trasformare le sue tante crociere in un palco dove esibire il proprio personaggio diventa un modo per attirare qualcuno e attraverso il quale zittire le proprie inquietudini.
Con l’immagine che da di sé agli altri tenta di nascondere a se stesso quello che è, solo a questo rapporto è interessata Dros. Che infatti non esce mai dalla nava con la sua camera per tutti i settantaquattro minuti di film, nemmeno durante i titoli di coda. Oltre a questo non si preoccupa di indagare quanto di vero ci sia nelle incredibili storie di Ronnie. Vere o false che siano non è rilevante. Agli spettatori verrà il dubbio persino sull’effettiva nobiltà del Barone di Inneryne, ma sapere in dettaglio chi sia, da dove venga e cosa abbia fatto nella sua vita non aggiungerebbe nulla al ritratto del personaggio che così chiaramente emerge dal film.
Questo è possibile anche grazie alla messa in scena, che a Ronald si avvicina per lo più nei momenti d’intervista, allontanandosene quando invece lui vaga per la nave in kilt o corona alla ricerca di un nuovo pubblico, e così facendo Dros sottolinea il sentimento di solitudine che pervade l’uomo.
King of the Cruise è questo, un piccolo racconto di infelicità memore del Foster Wallace di Una cosa divertente che non farò mai più. Dove Foster Wallace portava il suo discorso sopra l’idea di crociera a un piano sociologico, Dros è più interessata al racconto individuale. Tutto ciò che si muove attorno a Ronnie, quella sottile assurdità delle crociere (di lusso) racconta tanto di un certo mondo occidentale, ma nel film è sfruttato per mostrare il vuoto del singolo. È il fulcro del cinema di Dros, che con King of the Cruise aggiunge un ulteriore bel pezzo alla sua galleria di ritratti umani.