mercoledì, Dicembre 18, 2024

La figlia oscura di Maggie Gyllenhall: recensione

Arriva in sala il 24 marzo il deludente adattamento da "La figlia oscura di Elena Ferrante, dove Maggie Gyllenhall, al suo esordio come regista, non riesce a raggiungere l'epicentro emotivo del romanzo. La recensione

Può essere diverso il panorama se chi osserva appartiene a contesti, classi diverse. A volte manteniamo legami solidi con le tradizioni sociali da cui proveniamo, non Leda, interpretata qui da Olivia Coleman.

Lei è in vacanza su isola greca, ciò che desidera sono libri, sole e mare. La solitudine che aveva previsto viene presto spazzata via da una famiglia chiassosa del Queens, da un momento all’altro, come dice Elena Ferrante da cui “La figlia oscura” è tratto, viene risucchiata «nel pozzo nero da cui proveniva».

Leda si ritrova inconsapevolmente in un pantano emotivo, disgustata e incantata da questa famiglia allo stesso tempo, ha un’istintiva identificazione con Nina, una giovane madre, Dakota Johnson, che sembra a disagio con i suoi stessi parenti, turbolenti e minacciosi.

È la bambola di sua figlia a far riemergere in Leda tutti i ricordi infelici del suo passato, i sacrifici, le minacce, i sogni infranti, diventa una sorta di sublimata metafora per ricordare quell’ambivalenza materna e quella inettitudine che non le danno tregua.

Maggie Gyllenhaal, al suo esordio come regista, ha riadattato il romanzo, non raggiungendo però il suo epicentro emotivo, il film a differenza del libro non evidenzia quel ciclo di danni psicologici che le diverse generazioni di donne vicino a Leda hanno dovuto affrontare, non è mai brusco ma accomodante.

Non restituisce mai quella opacità animale con cui prima si desidera un figlio e poi lo si respinge, pressati da una retorica che non appartiene a tutti.

Se la complessità di Leda riesce a raggiungere lo spettatore, il suo percorso è dotato di senso, proiettato avanti e indietro nel tempo egualmente disperanti, il personaggio di Nina perde subito d’intensità, resta sulla scena come un burattino senza anima, condannata all’incomprensione.

Soprattutto si perdona, ma forse come alla fine ci ricorda la Ferrante, non c’è modo di sfuggire agli effetti che derivano dall’amore familiare, intenzionale o meno che questo sia, si accoglie la sconfitta con tetra e pura rassegnazione.

The Lost Daughter di Maggie Gyllenhaal (Grecia, USA, Regno Unito, Israele 2021 – 121 minuti)
Interpreti: Olivia Colman, Jessie Buckley, Dakota Johnson, Ed Harris, Peter Sarsgaard, Paul Mescal, Dagmara Dominczyk, Alba Rohrwacher
Sceneggiatura: Maggie Gyllenhaal, tratta dal romanzo di Elena Ferrante “La figlia oscura”
Fotografia: Hélène Louvart
Montaggio: Affonso Gonçalves
Scenografia: Inbal Weinberg
Costumi: Edward K. Gibbon
Musica: Dickon Hinchliffe
Suono: Leslie Shatz
Effetti visivi: Solon Giannoutsos

Francesca Fazioli
Francesca Fazioli
Laureata nelle discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, ha frequentato un Master in Critica Giornalistica all'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico e una serie di laboratori tra cui quello di scrittura cinematografica tenuto da Francesco Niccolini e Giampaolo Simi. Oltre che con indie-eye ha collaborato e/o collabora scrivendo di Cinema e Spettacolo per le riviste Fox Life, Zero Edizioni, OUTsiders Webzine

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