I ragazzi dell’Università di Napoli –e i frequentatori mattinieri dell’ultimo Napoli Film Festival– hanno goduto di un grande privilegio nell’ascoltare una lezione di cinema da parte di uno dei più grandi maestri della fotografia mondiale, Luciano Tovoli, autore della fotografia di ben 80 film, tra cui Il deserto dei Tartari di Zurlini, Police di Maurice Pialat, Professione Reporter e Il mistero di Oberwald di Michelangelo Antonioni, Che ora è? di Ettore Scola, Il Mistero Von Bulov, Inserzione Pericolosa, e Il bacio della morte di Barbet Schroeder.
E Suspiria di Dario Argento. L’incontro infatti si è svolto proprio in seguito e a proposito della proiezione del film di Argento in cui, più di ogni altro, il talento creativo di Tovoli ha dato i suoi frutti. L’autore- presidente tra le altre cose dell’A.I.C., associazione italiana autori della fotografia, creatasi per sancire l’autorialità di un mestiere i cui meriti spesso vengono trascurati-ha raccontato come Suspiria, alla fine, sia stata una tappa inattesa della sua carriera; Tovoli non era mai stato interessato al genere horror, avendo praticato per lo più il naturalismo fotografico. Oggi invece, alla luce di tanti anni di lavoro nel cinema, inserisce il film di Argento insieme a Professione Reporter tra i film a cui è più legato e a cui deve di più.
Del genere horror alla fine quello che lo attraeva maggiormente era proprio la possibilità di giocare con l’immagine a piacimento, creare, dalle sue parole, “un mondo di colori” senza preoccuparsi di rispettare i canoni stilistici tipici di un film realistico. Due furono le condizioni che impose ad Argento prima di accettare di dirigere la fotografia del film: prima cosa volle fare da solo dei provini, per testare su technicolor l’’impasto’ dei colori che avrebbe voluto utilizzare. Se ad Argento questi fossero piaciuti, allora il film si sarebbe fatto. Seconda cosa: pretese che qualsiasi ‘trucco’ ottico o effetto speciale venisse realizzato direttamente con la macchina da presa, senza interventi di post-produzione, cosa complicatissima da fare, e anche molto costosa. I produttori del film, e cioè il padre e il fratello di Argento, erano perplessi: per loro sarebbe stato meglio lasciar perdere quello che ritenevano un invasato. Ma Dario decise comunque di fargli realizzare i provini: alla fine, di fronte alla proiezione di quelle immagini completamente slegate dalla sceneggiatura ma così plasticamente macchiate di verde, blu e rosso, Tovoli racconta che saltò letteralmente sulla poltrona e, toccando lo schermo quasi volesse appropriarsene subito, decretò: “Questo è il film che voglio fare.”
Ed infatti la sintonia tra i due fu totale, nel completo rispetto dei propri ruoli: a Tovoli venne data carta bianca, ed egli seppe approfittare dell’occasione per sperimentare l’uso del colore sulla pellicola come fosse vernice su una tela. Tant’è che ammette di non essersi mai ispirato alla pittura nel suo lavoro (semmai tra le arti visive è la fotografia a cui ha fatto più ampiamente riferimento) mentre per Suspiria a posteriori si è reso conto di essere stato guidato da uno spirito più pittorico che fotografico. La sua idea era stata, ad un certo punto, di gettare secchiate di vernice di rosso e blu sui volti dei personaggi, ma anche questa stranezza non venne approvata dai produttori, già ampiamente scettici. E’ Francis Bacon, il pittore, che i colori del film ricordano di più: e infatti l’autore confessa di essersi trovato casualmente a lavorare nel suo studio privato di Parigi, dove l’assistente dell’ artista gli concesse una visione privata delle opere che Bacon custodiva lì, e che lo colpirono molto, e, forse inconsciamente, condizionarono la resa fotografica del film. In particolare c’è un’immagine che sembra la copia di un Autoritratto di Bacon, e cioè quella in cui, verso l’inizio, si vede la testa della ragazza assediata nel bagno attraverso la finestra,completamente schiacciata e deformata sul vetro.
Il risultato del film è un impasto acido di colori primi che aggrediscono letteralmente gli spazi ed i personaggi (mai sangue è stato più vernice rossa che in questo film). Il rosso domina, su tutto, a partire dalla sequenza iniziale, all’aeroporto, dove sottolinea come un neon sottosuperfice ogni quadro, compreso il tabellone delle partenze e degli arrivi.
Tovoli racconta divertito come arrivò ad un passo dal lavorare con Brian De Palma che stimava tantissimo, e come prima di iniziare questi avesse voluto vedere un po’ dei film di cui era stato autore della fotografia. Tutto bene fino a quando non si arrivò a Suspiria: De Palma rimase letteralmente disgustato, tanto da non voler più lavorare con lui. Anche Antonioni, che aveva idee completamente diverse riguardo all’uso del colore nel film anni più tardi, dopo aver rivisto Suspiria, gli disse: “Certo che potevi dargli dei buoni consigli ad Argento.” Per far capire quanto ragionasse in modo diverso Tovoli racconta che, girando Professione Reporter, Antonioni era disturbato dal verde della foresta, e, per girare una scena fece versare della vernice grigia da un elicottero sopra gli alberi, suscitando le ire di Carlo Ponti che si lamentava dei costi troppo elevati. La sera stessa la pioggia lavò via la vernice, Ponti negò assolutamente il noleggio dell’elicottero per un altro giorno e quella scena non venne più girata.
Tovoli dovette vedersela molte volte con la produzione dei film dove si trovava a lavorare. Oltre a rischiare il licenziamento dal medesimo set di Antonioni per aver quasi bruciato con una luce di scena Jack Nicholson, in Suspiria si trovò spesso ai ferri corti con Argento padre e fratello: ad esempio, per realizzare uno dei movimenti di macchina più entusiasmanti del film nella scena in cui Flavio Bucci viene ucciso nella piazza principale di Monaco di Baviera, creò un meccanismo elettrico per cui la macchina da presa, appesa ad un cavo che partiva dall’estremità di uno dei templi, precipitava verso il basso fino a fermarsi a 2 metri dal suolo, poi si raddrizzava e volava in aria nuovamente. Ecco, la prima volta che la scena fu provata la macchina da presa finì sbriciolata a terra, rischiando di bloccare le riprese del film per superamento del budget.
Quello che colpisce in questo maestro di cinema è l’apparente leggerezza con cui affronta la questione del mestiere che pratica da anni: nel descrivere minuziosamente i procedimenti attraverso cui ha creato effetti speciali da tecnologia digitale costruendoli artigianalmente nel quadro sembra che non capisca come possa stupire l’arte di creare ciò che si vuole sfruttando semplicemente i propri mezzi. Ma siamo noi, forse, che, abituati ai numerosi effetti anche solo dei nostri telefonini fotografanti , oggi fatichiamo semplicemente a comprendere la magia elementare della luce che, inclinata a dovere (e magari dopo moltissimi tentativi falliti) rifrange su un pezzo di vetro; procedimento questo usato per l’incredibile scena della vecchia domestica che spolvera il cristallo, una delle più suggestive di Suspiria.