Los Angeles batte il tempo con il suo acronimo e fa danzare a ritmo adrenalinico un intero corpo di ballo sul tetto delle macchine ferme lungo una railway intasata, fa volteggiare Emma Stone e Ryan Gosling su una terrazza panoramica che guarda uno squallido spettacolo di strade e ciminiere a mò di Fred Astaire e Ginger Rogers (con buona pace dei due grandi, bisogna ammettere che non se la cavano affatto male) e infine, come due innamorati di Peynet, apre per loro una strada fra le stelle e per il pubblico, ormai completamente galvanizzato, i condotti lacrimali.
Film di apertura a Venezia73, è la seconda, e ormai definitiva rivelazione di quel geniaccio pop di Damien Chazelle, quello di Whiplash col batterista che suonava a mani insanguinate pur di non darla vinta al cattivissimo (ma a fin di bene) art director J. K. Simmons. Qui Simmons strizza l’occhio al pubblico in un cameo perfettamente in linea con il suo personaggio.
Odia il free jazz di Sebastien (Ryan Gosling), lo costringe a suonare brani di puro intrattenimento per il suo locale di tranquilli borghesi middle class losangelini, e quando Seb non ne può più lo licenzia in puro stile “ in America i diritti sindacali te li puoi mettere in quel posto”.
Mia (Emma Stone), da parte sua è la più sfigata delle compagne di appartamento che se la spassano senza problemi in puro stile “ una botta e via”. Mia è romantica e, quel che è peggio, scrive. Avrebbe, cioè, aspirazioni rivolte alla drammaturgia teatrale, un lungo monologo di cui è anche interprete farà un fiasco pazzesco. Insomma, tra lei e Seb non poteva che nascere un grande amore, se solo il caso li avesse messi in contatto.
E ciò puntualmente accade, per la gioia del pubblico che da quel momento capisce di trovarsi di fronte ad un vero e proprio musical, ma, mio Dio, quanto nuovo, in linea con i tempi, senza una virgola fuori misura, qualcosa che non c’è da vergognarsi se piace da matti, mentre due ore passano leggere dietro le vicissitudini (parolona da usare in omaggio al gusto un po’ rétro del film) dei due personaggi.
Con i suoi vestitini in acrilico anni ’60, i vinili ancora sul giradischi e tutto il repertorio a cui gli occhioni a cuore di Emma Stone si addicono alla perfezione, La La Land riesce ad essere una storia dei nostri tempi, di sogni e realtà che fanno fatica a convivere eppure ci riescono, di qualcosa che perdi e qualcos’altro che non potrai mai più lasciare, anche se la vita ti costringe a seguire il corso che vuole lei.
Dire tutto questo, e dirlo cantando e ballando è cosa degna di nota. La grande tradizione del musical americano si fonde in armonia con un sapore di vecchia Europa, c’è qualcosa che ci ricorda le scorribande di Woody Allen fra Roma e Parigi, ma poi la vecchia America del jazz, quello vero, ci riprende e soggioga. I due innamorati sono dolcissimi, non sappiamo se ce ne siano ancora così in giro, ma ci piace crederlo, o almeno sperarlo, mentre la vita che unisce e separa, gioca brutti scherzi ma a volte gira la carta fortunata è tutta lì, con le stagioni che passano e gli anni che fanno crescere il mucchio dei ricordi.