Anchorage, Sept.12 (AP)
Last Sunday a young hiker, stranded by an injury, was found dead at a remote camp in the Alaskan interior. No one is yet certain who he was. But his diary and two notes found at the camp tell a wrenching story of his disperate and progressively futile efforts to survive.
The diary indicates that the man, believed to be an American in his late 20’s or early 30’s, might have been injured in a fall and that he was then stranded at the camp for more than three months. It tells how he tried to save himself by hunting game and eating wild plants while nonetheless getting weaker.
One of his two notes is a plea for help, addressed to anyone who might come upon the camp while the hiker searched the surrounding area for food. The second note bids the world goodbye…
An autopsy at the state coroner’s office in Fairbanks this week end found that the man had died of starvation, probably in late July. The authorities discovered among the man’s possessions a name that they believe is his. But they have so far been unable to confirm his identity and, until they do, have declined to disclose the name.
Nel suo documentario Grizzly Man (2005), Werner Herzog ricompone il puzzle della vita (e della morte) di Timothy Treadwell, attore fallito con il pallino della natura selvaggia. Herzog filtra e monta l’enorme mole di materiale audiovisivo lasciato da Threadwell e si mette in gioco in prima persona: mediante il suo classico, pensoso commento fuori campo e il suo ruolo di documentarista in carne e ossa, che intervista, insegue, si stupisce. Il metodo di Krakauer non è molto diverso, anche se la sua sfera è la carta, non lo schermo. Il giornalista americano recupera tutto ciò che aveva lasciato dietro di sé Alexander Supertramp (nome “da battaglia” di Christopher McCandless) e lo mischia con testimonianze raccolte lungo il suo cammino, briciole da fratelli Grimm. Voci, lettere, impressioni: orme più o meno plausibili del passaggio di un ragazzo che aveva scritto sulla corteccia: Jack London Is King.
Gli autoscatti di Chris rivelano lo stesso stile del suo diario. Sono istantanee scarne, mere situazioni registrate. Il più delle volte trattasi di momenti felici, vittorie piccine picciò. Quando impugnava la penna a fini diaristici, Chris scriveva in terza persona, quasi fosse l’erore di un romanzo di London. Brevi prose intrise di retorica, le sue, che col passare dei mesi lasciano spazio unicamente a un’agghiacciante lista di animali uccisi. Agghiacciante anche perché insufficiente a garantirgli una nutrizione degna di questo nome. Più eloquenti, invece, i brani sottolineati nei libri che aveva con sé, classiche Grandi Narrazioni come Guerra e pace di Tolstoj o libri “della foresta” a firma London o Thoreau. Jack London aveva vissuto nelle foreste per pochi mesi, ed era morto a 40 anni grasso e ubriaco. Thoreau, l’autore di Walden nonché principale cantore americano del sublime proprio della natura immobile (il “sublime matematico” teorizzato da Kant), era una persona problematica e ossessiva, che rinunciò al sesso per tutta la vita. Questo per dire che Chris McCandless si è immerso nei boschi con degli ideali ben precisi. Peccato che questi ideali fossero prettamente letterari, mentre la natura non lo è. E lui l’ha affrontata non con arroganza, al contrario: munito di una letale naïveté.
Into The Wild è diventato un film (2007) di Sean Penn, con la colonna sonora di Eddie Vedder. Sean Penn ha impiegato dieci anni per ottenere i diritti del libro.