domenica, Dicembre 22, 2024

La nostra terra di Giulio Manfredonia: la recensione

Oltre la prevedibilità congenite, il puntuale ricorso a volti noti e le ambientazioni rigorosamente pugliesi in nome dell’ormai onnipresente Apulia Film Commission, il nuovo film di Giulio Manfredonia colpisce per l’attenta cura registica. Composizioni di immagini che riecheggiano nell’immaginario dello spettatore: è la casa del boss Sansone, che incombe dall’alto di un poggio ed influenza, controlla, le coscienze dei cittadini di un piccolo paese del sud Italia. Un’iconografia che rimanda idealmente all’influsso altrettanto malsano della casa vittoriana dello Psyco di Hitchcock. Un Super Io corrotto, che pesa sulla vita degli individui, lasciati alla deriva e all’autoannientamento. Un capo mafioso che, nella sua assenza o presenza, grava ugualmente sul territorio, come genius loci inestricabile.

La nostra terra è il secondo capitolo di una “filmografia etica” che sembrava tanto appassionare Manfredonia, prima del dittico Qualunquemente e Tutto tutto niente niente all’insegna di sperimentazioni cromatiche ‘alla Wes Anderson’. Impossibile infatti non pensare al precedente film del 2008 Si può fare, che vide l’ironico e tragico Claudio Bisio in un ruolo qui speculare a quello interpretato da Stefano Accorsi, che invece, negli insoliti panni di un burocrate ossessionato dall’ordine, convince quanto una di quelle melanzane insapori che si ritrova a piantare.

Il film piace, per le trovate ironiche, i conflitti tra i due mondi, le due mentalità e le comiche situazioni contrastanti. Ma in fondo, ci si rende conto che non si è fatto altro che giocare nuovamente su quei soliti cliché. Il nord e il sud, la città e la campagna, la legalità e l’illegalità, l’ordine e il disordine. Filippo (Accorsi) si imporrà come forza motrice, portatore di legalità, in un contesto assoggettato alle intimidazioni mafiose, fino a diventare direttore di una cooperativa sociale dedita all’agricoltura biologica su territori confiscati alla mafia. Una comunità supportata unicamente da emarginati: gay, paralitici, neri, psicopatici; i deboli della società che trovano forza e rivalsa nella loro determinata lotta contro le ingiustizie.

Nonostante quindi non sia sfornito di notevoli punti forza, il film si snoda in una trama melliflua quanto prevedibile. Chiedersi quindi quanto sia legittimo attribuire una qualità etica ad un film che ripropone vicende, personaggi e contesti già triti e ritriti è necessario. Intenti di nobile facciata che andrebbero forse messi in dubbio, che in realtà celano dietro le facili soluzioni da commedia un comodo escamotage attrattivo, uno specchietto per le allodole benpensanti.

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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