venerdì, Novembre 22, 2024

La prima luce di Vincenzo Marra: la recensione

Vincenzo Marra prosegue la sua personale sperimentazione ibridando documentario e finzione, metodo che affronta da Tornando a casa, suo primo lungometraggio presentato a Venezia quattordici anni fa per la Settimana Internazionale della Critica, fino al più recente “Il gemello.

Marco – Riccardo Scamarcio – e Martina – Daniela Ramirez – non riescono a raccogliere i pezzi del loro rapporto; lui è un avvocato in cerca di successo e completamente assorbito dal lavoro, lei lavora come grafica ma non riesce più a provare soddisfazione per le cose che la circondano. Sudamericana in terra straniera, ha un solo desiderio; tornare nel suo paese e portare con se Mateo, il figlio di otto anni nato dalla lunga relazione con Marco.

Contro la volontà del compagno, Martina un giorno scompare insieme al figlio. Per mettersi sulle loro tracce, Marco dovrà affrontare un difficile viaggio trasferendosi in un paese completamente sconosciuto.

Come ne “il gemello” Marra cerca di mantenere una giusta distanza con gli attori, cercando di non stabilire empatie troppo sbilanciate, ma la sensazione che prevalga il contatto più stretto con la figura interpretata da Scamarcio è molto forte, sopratutto nella gestione dei toni e nello scontro soggettivo tra la coppia dove l’improvviso mutamento di Martina va di pari passo con la claustrofobia noir che si percepisce nella seconda parte del film. La prima parte mantiene infatti la forma di una scrittura più libera, legata alla vita quotidiana con il figlio e ad un rapporto fatto di gesti, parole interrotte, scatti d’ira improvvisi, tutti segni ed elementi legati alla dimensione indicibile di una relazione, dalla quale Marra si tiene saggiamente a distanza; la seconda assume al contrario la struttura narrativa di un film nero, con tutti gli ingredienti generici del caso, dall’avvocato che lo mette in guardia sul diverso funzionamento del Sudamerica in fatto di questioni legate all’affido, fino al confronto di Marco con un private eye con il quale si incontra nei bar deserti della città, prima che il film sfoci in una sorta di court-room drama raffredato.
Il ricorso ai generi serve a Marra per accentuare il senso di straniamento in cui si trova Marco, inserendo quei piccoli elementi narrativi che servono a creare la sensazione di un complotto, chiudendo così il film in una forma più strutturata.

All’isolamento di Martina nella prima parte del film, sola e ignorata dal marito, corisponde quello di Marco in Sudamerica, una simmetria a nostro avviso un po’ troppo percepibile e che si aggiunge all’uso simbolico di alcune situazioni, dove Marra sceglie di sottolineare invece di suggerire. Ci riferiamo in particolare al sogno premonitore di Mateo, alle due visioni della legge opposte e speculari; quella di Marco spregiudicata e ai limiti della legalità, che ci mostra un uomo spietato e che cura i suoi interessi, e quella Sudamericana rigida e apparentemente disumana, contrappasso sin troppo evidente per un uomo che credeva di poter avere il controllo su qualsiasi persona e cosa.

In questo sbilanciamento, rimane il talento e la capacità di Vincenzo Marra nel lavoro di sottrazione e nel ricorso minimale ai dialoghi, dove i sentimenti non vengono raccontati ma devono essere letti attraverso i volti e i gesti dei personaggi.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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