“Sapience n’entre point en âme malivole, et science sans conscience n’est que ruine de l’âme ”.
Un pensiero di François Rabelais in apertura dà inizio a La sapienza, settimo lungometraggio di Eugène Green, presente a Locarno e in questi giorni al TFF nella sezione Onde.
Tornano intatti gli stilemi dei lavori precedenti, l’anti-naturalismo della rappresentazione, lo “sguardo in macchina” dei personaggi, la teatralità dell’impianto narrativo, ma questa volta sembrano come appannati da leggere forzature, quasi una fuoriuscita dai propri confini alla ricerca di nuove intonazioni di cui non sempre la corda giusta è quella che soccorre.
Opera imperfetta, non è la punta di diamante della storia artistica di Green, molto di più convincente e di forte impatto c’era nei film passati, ma l’innegabile autorialità del suo tratto riesce comunque ad emergere e riannoda il filo di un discorso interrotto nel 2009 con A religiosa portuguesa.
Cinema inteso, a partire da Toutes les nuits del 2001, come ricerca inesausta del “luogo del sacro”, spazio virtuale in cui parola e immagine convergono in una ridefinizione del legame dissolto tra ragione e fede, spirito e scienza, nel secondo lungometraggio del 2003, Le monde vivant, immaginifica fiaba medievale di Cavalieri, Damigelle e un Orco, un pensiero di Maître Eckhardt posto in apertura dava coordinate essenziali di lettura anche per i film successivi: “Si Dieu manquait à sa parole, sa vérité, il manquerait à sa divinité, il ne serait pas Dieu car il est sa parole et sa vérité ”.
La parola, centro di ogni relazione umana, motore in assenza del quale la vita è solo una carcassa inerte, è dunque rivelazione del divino, con ciò intendendo qualcosa di molto vicino al principio cosmico che regola, anima mundi, l’intero universo.
“Dieu est sa parole et sa vérité “.
Le pont des arts, Les signes, Correspondances, e infine A religiosa portuguesa, riproposero a loro volta questa concezione del mondo, che è fondamento stesso del fare cinema di Green:
“Fin dalla più tenera infanzia so che è la parola che fa l’uomo e lo porta a distinguersi dalle altre creature viventi. Una lingua è una versione particolare del mondo, e la lingua che si parla determina in parte ciò che si è.” Sul piano della comunicazione, dunque, della sua verità o fallacia, Green ha posto le credenziali più forti del suo lavoro e le forme della sua poetica.
Inevitabilmente ogni film ha registrato lo scacco di uno o di un altro personaggio, incapace di guardare la realtà con occhi diversi, di vedere l’invisibile nel visibile, di stabilire la comunicazione “attraverso l’assenza”.
“I miei personaggi principali sono in generale in cerca di una conoscenza spirituale, e una comunicazione reale si stabilisce tra di loro attraverso l’assenza, di solito per mezzo di una persona o di un elemento intermediario ”.
La Julie del suo ultimo film (A religiosa portuguesa, 2009) era stata la sintesi di tutte le sue creazioni precedenti, una donna sola in cammino verso la conoscenza, che è svelamento e amore nello stesso tempo.
“Cessare di essere ciò che non si é e divenire ciò che si é ” era stato il paradosso di cui Joana, la monaca di Lisbona, aveva rivelato a Julie la portata dirompente.
“ E cosa si trova? “ aveva chiesto Julie. “La vita” aveva risposto Joana con semplicità.
La vita è quello di cui, ognuno a suo modo, devono riappropriarsi i quattro protagonisti de La Sapienza. Alexandre (Fabrizio Rongione), noto architetto parigino, è sposato con Aliénor (Christelle Prot Landman) psicoterapeuta.
Coppia in crisi, il silenzio è sceso da un pezzo fra loro e il viaggio in Italia che decidono di fare insieme per lavoro sarà l’occasione per ripensare le ragioni di un rapporto logorato e trovare inedite possibilità di porsi in relazione con l’altro da sè. L’incontro a Stresa con i due giovanissimi Goffredo (Ludovico Succio) e Lavinia (Arianna Nastro), fratello e sorella uniti da un legame di eccessiva interdipendenza che ne indebolisce le risorse vitali, è l’occasione per un inaspettato cambiamento di rotta. Il montaggio alternato seguirà da questo momento i due percorsi di formazione che divideranno le due nuove coppie.
Aliénor rimane a Stresa con Lavinia, a cui darà un aiuto importante per la conquista della sua autonomia, Alexandre andrà a Roma con il ragazzo, il personaggio più positivo dei quattro, diciottenne intenzionato a diventare architetto anche lui.
E’ la parte del film in cui, accuratamente evitando le peripezie del dramma, Green racconta per immagini le dinamiche interiori dei protagonisti, proiettandole sui fastosi scenari della Roma del Borromini.
Alexandre è un cultore dell’artista, questa sezione del film è un susseguirsi di magnifiche riprese fatte nei suoi luoghi canonici, San Giovanni in Laterano, Palazzo Barberini, la Chiesa della Sapienza, S.Andrea al Quirinale, descritti da Alexandre a Goffredo con la passione di chi trova nel linguaggio dell’arte il riflesso delle proprie inquietudini e la loro sublimazione.
Come lui, anche Francesco Castelli detto il Borromini “…giunse dalle nebbie del nord alla luce dorata del Lazio, dalle forme gotiche a quelle dell’antichità romana, dai ricordi degli artisti anonimi del Medioevo a quello di Michelangelo…”
E’ il tema caro al regista, il rapporto tra parola e immagine e il cinema come medium, luogo epifanico per eccellenza che, esaltando il valore dello sguardo, intrattiene col reale un rapporto di continua crescita ed esplorazione.
Un’epigrafe dal Libro della Sapienza all’inizio del film è rivelatrice:
“La sapience est plus active que toute action, car c’est un reflet de la lumière éternelle ”.
La frase chiarisce l’andamento episodico e anche frammentato del percorso che porta i quattro protagonisti alla conquista di sè, cioè di una Sapienza che è punto di arrivo di un cammino difficile, conquista aspra e irta di ostacoli, perchè “reflet de la lumière éternelle”.
E’ su questo tema che s’innesta la sequenza di cui è attore lo stesso regista, già in altre due occasioni presente nei suoi film (Correspondances e A religiosa portuguesa), ma solo come fuggevole apparizione.
Ora il suo intervento è importante, appare alle spalle di Aliénor che guarda lo scenario notturno del lago e dialoga con la donna a lungo. E’ un iracheno in fuga verso Parigi, è l’ultimo dei Caldei, viene dalla piana di Niniveh ed è stato cacciato dalla sua terra da guerre iniziate 1300 anni fa: “Nascere è un fardello pesante, ci vuole forza per andare fino in fondo. Volevo rimanere nel mio villaggio dove potessimo parlare la nostra lingua. So che la mia lingua sparirà e anche la mia religione. Agisco stupidamente per salvare il mio corpo, eppure anche lui dovrà sparire.”
L’uomo possiede l’antica capacità divinatoria del suo popolo e la sua sarà una profezia per il futuro di Aliénor e Alexandre. “Il suo destino è di trovare un luogo.Tutta la nostra disperazione deriva dal fatto che ci è stato negato uno spazio dove avremmo potuto ricevere la luce di Dio e amare gli altri uomini. Ma a lei costruiranno uno spazio perché è amata. L’ho avvertito poco fa, guardando una stella.”
Il Magnificat a 6 voci dai Vespri della Vergine di Claudio Monteverdi, ascoltato in apertura, torna ora a commentare un finale rasserenato, che riporta alla memoria brani di dialoghi disseminati in passato e di nuovo presenti e carichi di vita nuova:
“Il pane è la vita, come le parole, dividiamo il pane come le parole ”
“Voi mi avete veramente parlato, stanotte c’erano le vostre parole, nel mondo vivente il soffio dello spirito è il soffio del corpo ”
“E’ per le vostre parole che ci siamo ritrovati, è la parola che mi ha liberato ”
“Cosa si prova ad essere liberi? ”
“Gioia ”.