Home alcinema La scomparsa di Eleanor Rigby: loro di Ned Benson – la recensione

La scomparsa di Eleanor Rigby: loro di Ned Benson – la recensione

Per Eleanor (Jessica Chastain) e Connor (James McAvoy) il passaggio dalla felicità all’abisso è come uno strappo improvviso; una confusa immagine acquatica divide i primi momenti di gioia da una separazione di cui non comprendiamo le cause. Eleanor riemerge dal passato, e se il ritorno in città sembra semplicemente una pausa dagli studi in Europa, il suo continuo deambulare tra la famiglia e i luoghi che presumibilmente le erano famigliari, è animato da una bruciante estraneità; come Leonard Kraditor in Two Lovers la donna torna tra i vivi dalla terra dei morti e osservando il mondo che la circonda da una distanza intangibile, vive sospesa nel tempo.

La Scomparsa di Eleanor Rigby: loro” è la terza incarnazione del film che Ned Benson ha presentato in diversi contesti festivalieri nelle versioni “Him” ed “Her”, ovvero la storia di Eleanor e Connor osservata dai rispettivi punti di vista, combinati successivamente in un’edizione da circa 122 minuti voluta dalla Weinstein Company per ragioni di maggiore commerciabilità, relegando i due montaggi precedenti ad una destinazione “limitata” e giocando mediante sovrapposizione e sintesi per realizzare il final cut insieme ad una veterana come Kristina Boden.

Ed è la stessa Boden che in un’intervista recente ha parlato di ricorsività della memoria, riferendosi al montaggio parallelo dei due film; a differenza del lavoro affrontato per un serial televisivo, raccontava la montatrice, non era previsto nessun sconfinamento tra “Him” ed “Her”, tanto da lasciare i due universi perfettamente delineati e indipendenti, ma soggettivamente attivi nella stessa dimensione narrativa e temporale.

Per la versione corrente la Boden ha lavorato per giustapposizione, aspetto che diventa chiarissimo nell’ultima sequenza del film, dove la flanerie disperata dei due protagonisti converge nel medesimo spazio, in un percorso che sembra la combinazione di due diverse temporalità.

Ma la ricerca di un punto di sintesi va di pari passo con la cancellazione, l’omissione e quindi la sottrazione della memoria; una “scomparsa” che viene effettivamente documentata solo a partire dall’oblio, dalle tracce eliminate che Eleanor si rifiuta di recuperare, preferendo vivere in un presente sospeso, senza passato ne futuro.

Sulla carta un progetto affascinante, ma che sfortunatamente ha tutta l’aria di un tentativo fallito, proprio perchè il vuoto è quello di un’immagine manifesta, senza alcuna relazione con il fuori campo; Ned Benson più che sottrarre toglie tutto e non ci lascia alcun segno per attivare anche un solo percorso emotivo sulla vita di Eleanor e Connor; non è un caso che a diventare palese sia proprio il lutto che ha improvvisamente distrutto le loro vite, mentre l’intensità del dolore, più che uno spazio indicibile, assume il ruolo di un’immagine inerte e priva di qualsiasi “insistenza” al di là del visibile, se accettiamo la definizione Deleuziana di fuori campo come un “altrove radicale” che preme oltre lo spazio e il tempo omogenei; e se il legame con la nota canzone dei Beatles diventa a un certo punto flagrante, come indicazione poetica che lega il movimento di Eleanor con il vedersi già morti, il riferimento è semplicemente verbale e non prende vita, perchè il film di Ned Benson non riuscendo a trasformare la funzione denotativa della citazione nell’intensità connotativa delle immagini, confina “Him” ed “Her” in uno spazio raggelato, un limbo dove la vita e la morte sono bandite.

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