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La sfida delle mogli di Peter Cattaneo: la recensione

Peter Cattaneo mostra la sua implacabile dipendenza alla formula che ha reso The Full Monty indimenticabile,

A volte è bello concedersi qualcosa di terapeutico, si è felici di crogiolarsi in una spudorata convenzionalità, il film di Peter Cattaneo è così, prevedibile.

La sfida delle mogli è una storia piena di buoni sentimenti, in cui un gruppo di donne, mogli di soldati al fronte, tenta un’impresa potenzialmente divertente e stimolante, in questo caso un coro.

Il regista mostra la sua implacabile dipendenza alla formula che ha reso The Full Monty indimenticabile, celebrando la forza del collettivo sul singolo individuo. C’è lo scetticismo iniziale, il superamento del dubbio e il sorprendente successo a cui non può mancare la battuta d’arresto, il litigio tra i protagonisti e la corsa forsennata per arrivare in tempo alla grande occasione.

Nel 2010 a Flitcroft Barracks, un luogo immaginario nella provincia inglese, un gruppo di militari parte per la propria missione in Afghanistan, le mogli e i figli restano a casa, soli, di nuovo, attendendo notizie. Cattaneo cattura l’animo svuotato di queste donne passando delicatamente di casa in casa, spazi anonimi, pareti beige, luoghi inondati dalla noia e dalla tensione che il suono del campanello o lo squillo del telefono pongano fine a tutto, una routine che porta queste casalinghe ad aprire continuamente bottiglie di vino. Ognuna gestisce la separazione a suo modo, chi mette le cose del marito in una scatola che nasconde sul ripiano più alto dell’armadio, chi finge che vada tutto bene, chi crea un calendario apposito su cui fare il conto alla rovescia per tranquillizzare i figli, chi taglia e incolla le proprie foto su una rivista softcore da inviare a Kabul. Ma Kate, una algida e meravigliosa Kristin Scott Thomas, immersa in quella routine che promuove la repressione emotiva in modo elegante, sa che non basta un bicchiere sul divano, le donne hanno bisogno di unirsi, sentirsi parte di qualcosa. Audace e dittatoriale si imbatte in Lisa, interpretata da Sharon Horgan, popolare e alla mano. Il loro è un contrasto naturale, diventando la migliore risorsa di tutto il film.

Se l’approccio di Kate sarà quello di un impiegato dedito a scale, spartiti e liturgie, Lisa avrà un atteggiamento più pop e pur essendo entrambe alimentate da buone intenzioni, vinceranno gli anni ottanta e le canzoni dei Tears for Fears, una versione ridicolmente raffinata di Time After Time di Cyndi Lauper e una versione a cappella di “Only You” di Yazoo.

I co-sceneggiatori Rachel Tunnard e Rosanne Flynn non sono partiti da zero ma da una storia vera, due mogli delle guardie scozzesi nello Yorkshire ebbero l’idea di formare un coro per scuotere il morale della base dove abitavano mentre i loro mariti erano in missione, scrissero a Gareth Malone, star del programma della BBC The Choir, un maestro a cappella che le aiutò a formare un coro.

La presenza di Malone però è stata utilizzata solo fuori da set, per una consulenza, la sua parte sarebbe stata scissa tra le due protagoniste, Kate e Lisa. Che importanza ha la verità quando il purgatorio nel quale ti ha invitato a partecipare Cattaneo diventa una hit parade di classici e alla fine ti ritrovi sui titoli di coda a cantare We Are Family insieme a tutte le altre donne in un grazioso patchwork che ricorda il finale di Love Actually?

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Laureata nelle discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo, ha frequentato un Master in Critica Giornalistica all'Accademia d'arte drammatica Silvio D'Amico e una serie di laboratori tra cui quello di scrittura cinematografica tenuto da Francesco Niccolini e Giampaolo Simi. Oltre che con indie-eye ha collaborato e/o collabora scrivendo di Cinema e Spettacolo per le riviste Fox Life, Zero Edizioni, OUTsiders Webzine
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