giovedì, Novembre 21, 2024

L’abbiamo fatta grossa di Carlo Verdone: la recensione

C’è una strana nostalgia “cromatica” nell’ultimo film diretto da Carlo Verdone. La casa dell’investigatore Arturo Merlino (Verdone), il bar dove lavora Lena (Anna Kasyan) e la luce di alcune scene notturne, ricordano il cinema degli anni ottanta. Non è una scelta nostalgica o marcatamente vintage, tutt’altro. C’è invece l’idea di un tempo sospeso e irrecuperabile come in un sogno, dove l’improvvisazione guascona di Sergio Benvenuti, sembra riemergere attraverso i tentativi di sopravvivenza dello stesso Arturo e di Yuri Pelagatti (Antonio Albanese), personaggio che assume alcune caratteristiche del Verdone “classico” da Borotalco in poi.

Quello che cambia, al di là dello sdoppiamento in stile buddy movie, è il contesto. Per quel sogno di invenzione affabulatoria e situazionale sembra non esserci via d’uscita, se non attraverso lo scontro brutale con una realtà che non considera più la dimensione fantastica come una scialuppa di salvataggio o una fuga verso il futuro. La presenza del denaro condiziona la vita di tutti i personaggi del film, anche quando assume la funzione di innesco per la gag, come quella del foglio da 500 euro che nessuno è in grado di cambiare. Ed è sempre il denaro che regola la relazione tra Yuri e l’ex moglie Carla (Clotilde Sabatino), il rapporto di Arturo con la ragazza di origini cinesi che l’aiuta in casa nella difficile gestione della zia e anche quello con il vecchio borghese che perde costantemente il gatto, oltre ovviamente a tutta la vicenda centrale che vede la strana coppia braccata da una banda di criminali a cui è stata sottratta erroneamente una valigetta con del denaro sporco.

Anche senza la sterzata politica quasi alla Sordi con tanto di pernacchia liberatoria, che sembra volerci rivelare in modo didascalico un mondo sottosopra dove appunto le istituzioni collimano con la curruzione e la fantasia la si può mettere in scena con profonda verità solamente nello spazio di confine del carcere,  tutto il film mantiene un’amarezza sotterranea che emerge dalle relazioni autistiche e inceppate che Arturo e Yuri hanno con la realtà che li circonda.

La gag, anche quando è concepita con un preciso meccanismo, come per esempio l’episodio in cui i nostri si recano in un centro estetico per asciugare i soldi nel solarium, sembra sempre rivelare uno scarto tra gesto e azione, oggetto e funzione, un po’ come Yuri sempre fuori luogo durante l’attività teatrale, mentre si dimentica le battute perché la realtà del palco è troppo aderente a quella personale.

In questo gioco di rispecchiamenti anche l’ultima sequenza, apparentemente ridondante rispetto alla linea chiarissima del film, riproduce in realtà la stessa sconnessione che Verdone elabora abilmente lungo tutta l’avventura picaresca di Arturo e Yuri, quella di due realtà in contrasto che collocano nuovamente i due personaggi in uno spazio di transito, perennemente fuori luogo.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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