Marginalità e lavoro è il fil rouge che ha caratterizzato la scelta di corti internazionali programmati la sera del 27 luglio al Lago Film Fest , parte delle sezioni “Internazionale” e “Nuovi Segni”. Il rapporto con la tradizione, la perdita dell’identità e un immaginario weird come filtro sulla realtà, una chiave di lettura che attraversa quasi tutte le opere viste ieri sera. Se il britannico Rate Me sceglie i nuovi media per il ritratto di Coco, giovane escort attiva nella suburbia, l’olandese Spoetnik ne sembra influenzato in termini più tradizionalmente espressivi. Mentre Fyzal Boulifa gioca con i pixel, i glitch e i difetti dell’immagine digitale come se i molteplici punti di vista fossero modificati da una sessione di file transfer corrotta, nel corto di Noel Loozen la tecnologia non è in primo piano in senso metadiscorsivo, ma influenza chiaramente le scelte del colorist in un’interpretazione iperrealista e fumettistica della realtà. Più che un’adesione militante al genere (commedia, documentario, inchiesta) è il modo in cui i nuovi media hanno frammentato la percezione che sembra influenzare questi nuovi autori. Al centro il lavoro come prassi quotidiana di resistenza, eredità mnestica oppure espressione di una nuova schiavitù. Non solo i fantasmi di una cultura in Hotel Der Diktatoren del tedesco Florian Hofmann, dove il Gaddafi Hotel è un edificio fantasma che consente al manager tunisino di raccontare il clima della sua terra attraverso una vera e propria sconnessione con la realtà, ma anche i corpi martoriati di Broken, dove Volker Schlecht e Alexander Lahl descrivono i metodi del carcere femminile di Hoheneck attivo nella DDR, attraverso i tratti di un’animazione essenziale, che riduce i gesti legati al lavoro ad una serie di pattern inquietanti ed alienanti. In quello che ci è sembrato il lavoro più rappresentativo della serata, le voci registrate dall’autore che hanno coinvolto le testimonianze di alcune sopravvissute, si sovrappongono alla geometria dei disegni, codice visivo che stilizza la prassi del lavoro tessile svolto dalle ospiti femminili all’interno del carcere. Se in questo caso i corpi scompaiono, sono invece presenti nell’esplorazione di un desiderio senile che gli svedesi Cristine Brglund e Sophie Vukotic fanno con il loro 9:55 – 11:05 Ingrid Ekman Berosgatan 48. Ingrid ha 67 anni e il suo rapporto con la malattia la spinge ad una lotta dove il corpo diventa di volta in volta barriera, segno del tempo, ostacolo flagrante contro la forma dei desideri. sarà la giovane Frida, nuova infermiera della donna, ad indirizzare quel sentire con la prassi quotidiana dell’assistenza. Il corpo come strumento è al centro del filippino Junyln Has, dove l’imminente visita del Papa spinge una ballerina ad esercitare il bacino con una serie di esercizi che la mettono in contatto con una diversa percezione dei suoi limiti. Un processo identitario che nel Yugoslavo In Between Identities diventa occasione per sfruttare le caratteristiche metamorfiche dell’animazione digitale, combinando video arte ed esperienza videoludica in un personale flusso di coscienza che gioca con le molteplici rappresentazioni del corpo, con particolare attenzione all’immaginario legato alla moda e all’advertising. Legato all’immagine della coscienza è anche il corto del Belga Mathias Minne, dialogo tra un maestro e un discepolo, sviuppato sulla riva di un corso d’acqua, dove la tendenza documentale della fotografia collide con una narrazione onirica, costruita per salti e un incedere ellittico. Quella sul lavoro allora, come dicevamo all’inizio, diventa in tutte queste produzioni, riflessione a margine, un ponte di collegamento tra l’annichilimento e la libertà