Un prequel della trilogia di Heimat ambientato nell’ ‘800? Ne ha tutta l’aria e la lettura è suggestiva.
Dopo averci condotto lungo il secolo, un capitolo dopo l’altro, alle soglie del terzo millennio, fino a quel memorabile “Congedo da Schabbach” di Heimat 3, Edgar Reitz lascia per sempre Hermann, Clarissa e il variopinto mondo dei suoi personaggi e si volta indietro a guardare lontano, quando si andava in calesse, le strade erano per lo più sterrate e la fame imbarcava povera gente su bastimenti “pe’ terr’ assai luntane”. Migrantes, storie di sogni, cadute, illusioni e delusioni. Ma soprattutto nuove visioni, Sehnsucht, in Die Andere Heimat – Chronik einer Sehnsucht
C’è un valido aiuto oggi al suo fianco, il figlio Christian, per concludere una storia a cui mancavano solo le radici più lontane.
E’ la storia dei bisnonni della famiglia Simon, da sempre contadini dell’Hunsrück, piccolo angolo della Renania-Palatinato, ora costretti ad emigrare in America da condizioni di vita sempre più difficili. Lunghi convogli attraversano a intervalli la scena, ripresi da una fotografia superba, scene ritmate da sonorità gravi, sempre nel registro dei bassi. Qualche tocco di colore nel bianco e nero, come al solito per i fiori, ci ricorda i garofani rossi sulla neve di Heimat 1: “Avevo cominciato con Heimat a girare soltanto in bianco e nero, ma durante la lavorazione c’erano delle situazioni che mi hanno costretto ad usare il colore per dire meglio quello che avevo da dire”.
E’ l’Europa di metà ‘800, quella delle grandi avventure coloniali e delle spinte imperialistiche, delle guerre di supremazia economica, della nascita dei movimenti operai e delle agitazioni sociali represse col fuoco delle baionette, mentre eserciti di ogni colore sono disseminati in battaglie campali di cui si è persa anche la memoria. E’ il tempo in cui tutto si preparava ad esplodere negli orrori del secolo successivo.
L’America è il sogno di una vita diversa, e continuerà ad esserlo per tanto tempo ancora. Lo sarà per Paul Simon, in Heimat 1, reduce dalla Grande Guerra, e forse dovrà diventarlo anche per quei ragazzi tristi del terzo millennio nel finale di Heimat 3: “Io inizio senza lavoro il terzo millennio, senza un progetto, senza soldi e senza aiuto” erano state le ultime parole di Lulu nel salutare gli amici, la mattina di Capodanno 2000.
Qui tutto ruota intorno a Jacob Adam Simon (Jan Dieter Schneider) e al fratello Gustav (Maximilian Scheidt), antenati di Paul, Anton, Ernst, i tre fratelli del ventesimo secolo. Ritroviamo nel cast Marita Breuer, l’indimenticabile Maria Simon della grande trilogia, anche qui mater dolorosa, legame viscerale di Jacob alla sua terra, quella che gli insegnerà il modo giusto per amarla e restarvi. Jacob è un ragazzo di campagna semplice e romantico, dotato di un talento naturale che fa fatica a farsi strada nelle condizioni di miseria e arretratezza del suo villaggio, con un padre che lo riempie di botte ogni volta che lo pesca a legger libri.
Eppure questo padre un giorno gli dirà “Sono orgoglioso di te”.
Impossibile riassumere una trama che si dipana per quattro ore, la pienezza è tale che solo la visione può renderle giustizia, avvolgendo lo spettatore in un continuum narrativo che ha l’afflato epico del racconto orale, la caratteristica precipua dello stile di Edgar Reitz. C’è un forte senso della famiglia, dei valori della terra, della tradizione, della propria cultura in questo ultimo capitolo di una lunga storia tedesca.
L’ epilogo acre della trilogia si ammorbidisce qui in un finale che apre alla speranza. Era il 1844, tutto doveva ancora accadere e le strade erano davvero tutte aperte. Questo ci dice Reitz sfogliando quel libro all’indietro. Jacob che ama Henriette, prova spinte libertarie, sogna la giungla del Brasile, fa piani di viaggio e impara la lingua dei nativi, non realizza nessuno dei suoi sogni immediati, ma diventa un vero uomo dei tempi nuovi, il capostipite di quella lunga dinastia che attraverserà il secolo successivo.
Nella sua spinta ad affrancarsi dall’orizzonte asfittico del villaggio, scoprendo il mondo prima nei libri, poi nel progetto di evasione, c’è già l’Hermann della grande trilogia, la sua sete di conoscenza, la sua arte, la musica. Fuggire da Schabbach per cercare la vera patria, è per Jacob quello che sarà per Hermann: “La libertà mi aspettava….Era come se fossi rinato, non da mia madre ma dalla mia testa. Me ne andavo a cercare la mia seconda patria, eine Zweite Heimat.”
La fuga di Jacob non sarà l’America, quel mondo di emigranti che Reitz ci fa balenare nella sua durezza con folgorante sintesi nella lettera di Henriette, letta a tutta quella coralità paesana che ogni volta si raccoglie per celebrare momenti importanti di vita comune. La fuga di Jacob sarà restare e far cambiare quel mondo, farlo progredire.
C’era un tempo in cui questo poteva accadere. E’ Sehnsucht, desiderio, nostalgia, visione, parola cara a Reitz.
“Adesso che HEIMAT è finito mi pongo finalmente il quesito “Cosa farò nella vita?” Erano state le parole di congedo di Reitz dopo Heimat 3 e venticinque anni dedicati all’opera della sua vita. Die Andere Heimat – Chronik einer Sehnsucht è la risposta.