domenica, Novembre 17, 2024

Lan Xin Da Ju Yuan (Saturday Fiction) di Lou Ye – Venezia 76, Concorso: recensione

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”” class=”” size=””] Sinossi: 1941, dai tempi dell’occupazione giapponese, la Cina è diventata campo di battaglia spionistico tra le forze degli alleati e quelle dell’Asse. La nota attrice Jean Yu torna a Shanghai, per partecipare alla piece ‘Saturday Fiction’ diretta dal suo ex amante. Ma quale è il suo vero scopo, liberare l’ex marito? Lavorare per gli alleati? Scappare dalla guerra con l’amante? Lavorare per il padre adottivo? In un mondo fuori controllo dove sarà difficile distinguere gli amici dagli agenti sotto copertura, dovrà valutare cosa rivelare di quello che ha appreso sull’imminente attacco di Pearl Harbor[/perfectpullquote]

In Saturday Fiction di Lou Ye tutta la messa in scena è percorsa da quella vertigine meta testuale che porta a mettere in dubbio ogni apparente verità. La storia d’amore tra un’attrice spia (Gong Li) e un regista teatrale (Mark Chao) a Shanghai durante i primi fermenti della Seconda Guerra Mondiale è infatti una vera a propria macchina di rifrazione continua delle certezze costituite, composta come un teatrino a matrioska contenente altri innumerevoli teatrini a doppiofondo che mettono in dubbio non solo qualsiasi forma comunicativa interna alla scena ma anche la totalità del senso della comunicazione. Questo stato di ambiguità in cui manca una mappatura affidabile del vero e del falso e in cui vige soltanto la legge delle apparenze e della fiducia a livello di codice linguistico possiede i contorni sfumati di un melodramma di spionaggio a lenta carburazione e a livello di significato il corpo liquido di una verità decisa solo dal suo momentaneo contenitore. Le caratteristiche del codice quindi determinano quelle del significato e viceversa. Nel primo caso la struttura del melodramma corroso da venature spionistiche e noir influenza il contenuto determinando i personaggi come individui tenuti lontani da finzioni obbligatorie (lo spionaggio ma anche il teatro, la recitazione) e l’intreccio come una continua esplosione di fuoco armato ed emotivo. Nel secondo caso la tematica portante – nell’intrico falsificante di informazioni visuali e uditive il sentimento inespresso è l’unica verità affidabile – amplifica i già cristallizzati riferimenti di genere, potenziando l’ambiguità del noir e la fatalità del melodramma. Tra soluzioni di messa in scena capaci di teatralizzare gli spazi, trame di spari spinti da trampolini sentimentali e sinfonie di corpi commossi e stremati, il risultato è quindi una conchiglia modellata dalla sua perla, un ragionamento che spesso si contorce per cercare l’illuminazione – come nella scena in cui a un certo punto i sistemi di rappresentazione falliscono e “la realtà si inceppa”.

Leonardo Strano
Leonardo Strano
Primo Classificato al Premio "Alberto Farassino, scrivere di Cinema", secondo al premio "Adelio Ferrero Cinema e Critica" Leonardo Strano scrive per indie-eye approfondimenti di Cinema e semiotica. Ha collaborato anche con Ondacinema, Point Blank, Taxidrivers, Filmidee, Il Cittadino di Monza e Brianza

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