Non c’è niente di ciò che ti aspetti in questo film, non ci sono i banchi con le ruote che vuole la Ministra Azzolina, non ci sono sollevazioni di gruppo all’esclamazione «Oh Capitano, mio Capitano», nessuno che ti porti a vedere un Pollock, nessuno che faccia la mosca. In questa scuola media di Saint-Denis, un sobborgo parigino, si ha solo il tempo di vivere e di resistere.
L’anno che verrà evita qualsiasi soluzione semplicistica, evita i colpi di scena o le manovre di un destino benevolo che risolva magicamente la realtà desolante e disordinata di questi alunni. La maggior parte di loro lotta costantemente con la povertà, il disagio e i pregiudizi. Classi numerose, risorse inadeguate, insegnanti stanchi di schivare battute e maledizioni, studenti spaventosamente consapevoli e tendenzialmente autodistruttivi.
Fode è un bugiardo compulsivo, Lamine ruba i dessert alla mensa per la semplice e ovvia motivazione che a casa non ha niente da mangiare, Issa ormai ripete lo stesso anno da tempo immemore, mentre Yanis, pur avendo una mente brillante non comprende il senso della scuola quando ciò che ha davanti è un mondo che tratta gli immigrati come poco più che selvaggi, diffamati dai media e molestati dalla polizia.
Eccoli qui gli studenti che sequenza dopo sequenza conosciamo perché di fronte alla nuova vice preside, Samia, meravigliosamente interpretata da Zita Hanrot, chiunque le segga davanti ottiene la sua sincera preoccupazione, il suo impegno e una buona dose di verità. Samia ogni mattina si sveglia e guarda sfilare davanti ai suoi occhi un corteo di adolescenti maleducati e lamentosi che devono costantemente essere gestiti, ma lei non è un ex marine, i suoi metodi non sono stravaganti, non ci sono parchi divertimenti, barrette al cioccolato o canzoni di Bob Dylan su cui riflettere, Zita Hanrot non veste gli stessi abiti di Michelle Pfeiffer in Dangerous Minds, la protagonista di questo lungometraggio scritto e diretto a due mani da Fabien Marsaud e Mehdi Idir è solo una persona normale che ama il suo lavoro e si adopera a cercare alternative, diventando a sua volta simbolo di frustrazione e di accettazione di una situazione radicata.
Se cerchiamo un riferimento, questi ragazzi assomigliano a quelli ritratti da Richard Linklater in Dazed and Confused, come loro condividono quel senso di appartenenza a un limbo permanente mentre vagano senza meta nella città, sperimentano e combattono quel senso di inadeguatezza cercando di comprendere quale sia la direzione, il passaggio all’età adulta che devono compiere e il significato che il loro futuro non sembra avere.
L’anno che verrà con la sua sceneggiatura vivida e intelligente funziona grazie alla performance cruda e credibile di ogni suo interprete assumendo un’autenticità quasi documentarista.