Sono molti gli aggettivi che potrebbero descrivere il percorso artistico di un uomo come Julian Schnabel, in alcun modo sarebbero sufficienti a racchiudere un itinerario autoriale così colmo di originalità e vitalità. Lo stesso regista, Pappi Corsicato, ne prende atto nel suo documentario dedicato alla vita dell’artista, dove il racconto stesso diviene sinonimo della grandezza testimoniata dalla portata biografica in oggetto.
Un ribelle che ha vissuto l’avanguardia della sua emotività attraverso l’approccio all’arte pittorica e, in seconda fase, quella cinematografica. La visione contemporanea di un astrattismo eccentrico e camaleontico sfocia nella messa in scena reale, dando vita ad opere di concettuale perfezionismo artistico riconosciuto con vari premi (a Cannes come Venezia, dai Golden Globe alla nomination agli Oscar). Pellicole come Basquiat, Prima che sia notte e Lo scafandro e la farfalla divengono una sorta di ulteriore performance creativa che espandono il talento di Schnabel in un connubio di immagine e suono, rivelando le qualità già ben note di un ingegno prolifico e inesauribile.
Tematiche che Corsicato affronta con lucidità e chiarezza, partendo dagli albori della vita privata dell’artista e raggiungendo le vette della sua carriera, coniugando i due elementi come un unico apparato che si confonde e coinvolge in un solo involucro unitario. Così ci troviamo nella dimora di Montauk a Long Island e in quella del palazzo in stile veneziano nel West Village di Manhattan, con Schnabel intento a dipingere, ad allestire una nuova mostra o in vacanza con familiari e amici.
Archivi privati tra video e immagini marchiano l’elaborato, mostrandoci l’affascinante anticonformismo dell’uomo-artista che ha sempre reso la sua arte più che mai viva e appartenente ad ogni profilo umano che lo ha attraversato, dimenticando qualsivoglia distinzione tra realtà pubblica e personale come un dogma privo di importanza.
Le testimonianze di parenti e amici si allineano con nomi altisonanti: Al Pacino, Mary Boone, Bono Vox e Willem Dafoe, solo per citarne alcuni. Tutte nel comun denominatore di una sobrietà di intenti che non vuole essere un programmatico decantare le virtù dell’artista ma darne un personale contributo pratico, nel riproporre il proprio incontro con Schnabel che non trova il bisogno di ornamenti verbali ma si traduce in una incredibile esperienza per il solo fatto di essere stata vissuta.
L’apparente semplificazione che si esercita nel documentario di Corsicato è un evidente escamotage registico laddove qualunque virtuosismo si evince nel bagaglio narrativo dell’arte protagonista, come soggetto di esponenziale grandezza che, come tale, è l’unica fonte atta ad aver diritto di parola sull’intero contesto. E così l’arte parla. L’arte, realmente, vive.