Tutto in vendita: il servizio di posate in argento, il set completo di 48 bicchieri di cristallo, il tavolo antico inglese in stile neoclassico, l’automobile… In questo modo Chela (Ana Brun) e Chiquita (Margarita Irún), due signore oltre la cinquantina e già da tempo una coppia, tentano di porre freno alla precaria situazione economica in cui sono venute a trovarsi. Tanti sono gli aspetti che le accomunano: entrambe appartengono all’upper class paraguayana, entrambe vivono dell’eredità lasciata loro dalle rispettive famiglie, entrambe non sanno rinunciare alle agiatezze di uno stile di vita che ormai non possono più permettersi. Ma se tante sono le somiglianze, non di meno sono le differenze: Chiquita è estroversa, vivace, amante della vita sociale e in grado di badare a se stessa e alla compagna; Chela è, al contrario, introversa, insicura e, vittima di uno stato depressivo, trascorre la maggior parte del tempo rinchiusa in casa, dipingendo e cercando di evitare il contatto col mondo esterno.
Tutto cambia per Chela allorché Chiquita finisce inaspettatamente in carcere a causa dei debiti insoluti. Affidata alle cure di una giovane cameriera analfabeta appena assunta, Chela si ritrova quasi suo malgrado, per una serie di circostanze fortuite, ad essere l’autista di anziane signore ben abbienti del suo vicinato. E così, alla guida della sua Daimler d’epoca lasciatale in eredità dal padre, alle prese col suo primo vero e proprio lavoro, la donna rinasce riscoprendo la gioia di vivere e liberandosi di abitudini e dipendenze psicologiche consolidatesi negli anni.
Il regista e autore Marcelo Martinessi è già stato altre due volte ospite della Berlinale con i cortometraggi Karai Norte (2009) e Calle última (2011) e nel 2016 ha vinto il Premio Orizzonti per il miglior cortometraggio al 73imo Festival di Venezia con La Voz Perdida (2016), lavoro che tematizza gli scontri avvenuti a Curugutuaty nel 2012, durante i quali 17 persone, tra dimostranti e polizia, vennero uccise.
I lavori di Martinessi hanno una vocazione sociale e si propongono come strumento di riflessione e indagine della realtà sociopolitica del Paraguay odierno. Non fa eccezione Las herederas, il suo primo lungometraggio, presentato in concorso alla 68ima Berlinale.
“È impossibile parlare di cinema Paraguayano senza mettere in conto gli anni di oscurantismo, gli interi decenni in cui non è esistita la possibilità di un cinema autoriale”, afferma il regista. “Negli anni sessanta e settanta, mentre il resto dell’America Latina narrava le sue storie sui grandi schermi, il mio paese restava invisibile. Per questa ragione costruire una nostra cinematografia è e resta una sfida fondamentale per la mia generazione. Quando scrissi la storia di Chela e Chiquita, mi resi conto che stavo cercando di creare un dialogo con quei tempi di oscurantismo e con una parte della società che non vuole cambiare, che preferisce restare nascosta nell’ombra.”
Con Las herederas Martinessi non solo riesce a creare il dialogo da lui ricercato, ma sa anche regalare al pubblico la storia di una donna raccontata in tono intimo e, a tratti, poetico, stupendamente interpretata dalla debuttante Ana Brun.