Tra Get it on dei T.Rex in testa e It’s all over baby blue in coda, i titoli del film listano la crème de la crème dell’industria cinematografica tedesca. In particolare quella della recitazione, sparpagliata tra ruoli di spicco e comparsate di lusso. Le vicende dei due fratellastri Michael (Christian Ulmen) e Bruno (Moritz Bleibtreu: fenomenale) non si discostano eccessivamente da quelle del libro. Michael è un fisico timido e cerebrale, che accantona momentaneamente i suoi pensieri sulla clonazione per ritrovare l’amore platonico di gioventù, Annabelle (Franka Potente). Bruno è un insegnante fallito, uno scrittore impresentabile – razzista quant’altri mai – ma soprattutto un uomo sconquassato da un’infanzia dolorosa. Bruno tende a convertire la depressione in appetito sessuale, un appetito che farebbe impallidire lo Zuckerman di Philip Roth. Attorno a questi due poli – l’inappetenza e la bulimia – si snodano una serie di eventi segnati dalla sofferenza, dalla distanza e dal fallimento, a partire dai flashback con la madre di entrambi (una hippie da tregenda) fino alla tentata relazione di Bruno con Christiane (Martina Gedeck), destinata a sbalestrare del tutto il suo equilibrio mentale.
Oskar Roehler ha adattato il romanzo con intelligenza ed equilibrismo. Il suo film è ovviamente altro rispetto allo stile di Houellebecq, sia in termini di “scrittura”, sia in termini di contenuti. E non solo perché la storia è stata spostata in Germania. Elementarteilchen è senza dubbio una semplificazione e un imbastardimento del romanzo di partenza. Molti storceranno il naso davanti a certi angoli smussati e a un pizzico di sentimentalismo totalmente assente nel libro. Ciò che conta, per quel che riguarda il film, è che Roehler non ha barato. È partito dal romanzo e ne ha tratto un film dignitoso, solido, a tratti divertente, a tratti commovente. Lo spirito nichilista – lovecraftiano, direi – proprio di Houellebecq è stato mantenuto solo in parte, ma quando emerge fa male. Un male autentico. Ne sono un ottimo esempio le sequenze con Bruno, che alternano situazioni satiriche e grottesche – meno sviluppate nel libro – a momenti di angoscia abissale. Roehler, in definitiva, ha saputo dribblare i rischi di un adattamento molto complesso. Il risultato è una pellicola autonoma e convincente, capace di fungere da ottimo sponsor per il libro (sebbene non ce ne sia bisogno) e retta da una messa in scena chiara, sicura, acuta. Una pellicola che vuole raccontare una storia e lo fa senza cedimenti. Non sarà una bibbia nera dei rapporti interpersonali come Luna di fiele (1992), ma Elementarteilchen ha l’umiltà di scegliere la commozione a scapito della provocazione. L’affettività al posto dell’aggressione e del vuoto. In altre parole, è un umanissimo film tratto da un libro che certifica la fine dell’umanità. Non una scelta coraggiosa: una scelta funzionale.