martedì, Novembre 5, 2024

Le regole del caos di Alan Rickman: la recensione

Di A little chaos si potrebbe dire che è un’opera riuscita a metà, ricca di potenzialità ma con nodi irrisolti, difettosa nel delicato e complesso rapporto fra realtà e invenzione operante nella genesi di un’opera d’arte.

Alan Rikman, ottimo attore inglese di lungo corso, alla seconda prova registica con A little chaos (la prima fu L’ospite d’inverno del ’97), decide di fondere le sue due anime stando anche davanti alla macchina da presa nella parte di re Sole.
Buona decisione. Con Stanley Tucci nel ruolo del fratello bisessuale del re è la cosa migliore del film. Oltre al giusto appeal e ad uno sguardo piacevolmente incantatore, stando all’iconografia ufficiale gli va anche riconosciuta una notevole somiglianza con l’illustre modello, il solo trucco non sarebbe bastato a fare tanto.
Presenza magnetica e persuasiva, altrettanto persuasive risultano le performances di Helen McCrory, M.me Le Nôtre e Jennifer Ehle, M.me de Montespan. Purtroppo, però, sono parti minori, a lasciare ampi margini di perplessità è piuttosto il duetto Kate Winslet/Andreas Schoenaerts, i protagonisti.
Al centro di un’amorosa storia fantastica collocata dentro la storia vera, non sembrano muoversi con la necessaria sintonia, anzi, la sensazione è che l’attrazione fra i due, che dovrebbe essere a dir poco fatale, in realtà funzioni a intermittenza, quanto basta per rispettare il copione ma niente più. Sulle ragioni di tanta freddezza, se sia da ascrivere ad una regia non all’altezza del compito, o non piuttosto a prove attoriali mal riuscite, benchè affidate a campioni del settore, non azzardiamo ipotesi. Può succedere che il dosaggio degli elementi non produca gli esiti previsti, non sarebbe la prima volta.

Ma vediamo cosa succede nel film.

Andreas Schoenaerts, nella parte di André Le Nôtre, è il celebre architetto di giardini reali alla corte di re Sole.
Alle prese con la progettazione del Bosquet des Rocailles, sala da ballo en plein air allietata da musica e cascatelle d’acqua stillante da conchiglie, le rocailles appunto, importate dalle coste africane e malgasce e incastonate alle pareti di una suggestiva cavea di gradoni coperti di fresca erba verde, il nostro Maestro sta selezionando con grande severità i progetti che un bando di concorso ha fatto arrivare sul suo tavolo.
L’impresa è onerosa, Louis XIV accetta solo la perfezione e il suo Maestro dei Giardini non è da meno. La corte è ormai prossima al trasferimento definitivo a Versailles e il re, peraltro provetto ballerino, nulla intende trascurare per assicurare svaghi e benessere perpetuo ai duemila nobili chiusi in quella sublime gabbia dorata, da lui genialmente escogitata per impedir loro di far danni al suo potere assoluto.
Questo, a grandi linee, è quanto racconta la storia vera.
A Mme. Sabine De Barre (Kate Winslet), donna sola che vive in semi-povertà per misteriose ragioni svelate in tutta fretta verso la fine del film, geniale architetto di giardini a cui Le Notre affiderà il gravoso incarico di corte, quasi una proto-femminista in un mondo in cui le dame languivano in asfittici ginecei (quello di corte, ricostruito magnificamente, è una delle parti più lodevoli del film) appartiene tutta la sezione finzionale del film.
Troppo per una donna sola, soprattutto se, a parte la nota grazia burrosa, la Winslet è portatrice costante di un’espressione dolente e smarrita che, sinceramente, non ha sempre ragion d’essere.
Messa subito al centro di intrighi e guerre di dame, amata a prima vista da tutta la fauna maschile di corte, a partire dal re, passa immune fra questi e quelle fino ad impalmare (cosa che si capisce fin dalla prima scena) il severo Le Notre.

Quel che Rikman e gli altri due sceneggiatori hanno aggiunto alla storia vera è una serie spettacolare di inesattezze storiche che, mescolando date, fatti e personaggi, ha fatto gridare da più parti allo scandalo. Inoltre, vuoi per ristrettezze di budget, vuoi per un certo snobismo tipicamente inglese, Louvre, Fontainebleau e Versailles, giardini compresi, si sviluppano in interni ed esterni di pochi metri quadri con attori che parlano, mon Dieu! in inglese.
Ma il problema non è qui, molto cinema sa di teatro e la sperimentazione è sempre ben accetta. Il problema è piuttosto nel delicato e complesso rapporto fra realtà e invenzione, fulcro nella genesi di un’opera d’arte.
Su ogni espressione artistica che faccia della mimesis il suo campo di elezione, la parola definitiva l’ha detta Aristotele, e non molto di più c’è da aggiungere al riguardo.
Libertà massima per l’autore, l’arbitrio è tutto suo, ma anche, però, la responsabilità delle scelte.
E’ dunque imprescindibile il criterio della “verosimiglianza”, che imporrebbe al magister un’ottima tenuta della materia e una dose di genio tale da soddisfare un pubblico che ben sa che le cose nella realtà sono andate diversamente, ma ciononostante accetta di buon grado tutto ciò che gli viene servito in nome delle ragioni dell’arte.
Purtroppo questa “verità più vera del vero” non la troviamo in A little chaos, e il celebre aforisma di Gorgia: “nell’arte chi si fa ingannare è più saggio di chi non si fa ingannare” qui non sembra funzionare.
Se l’opera non è capace di imporre la sua trasfigurazione della realtà, se il pubblico s’intigna a scoprire quanti errori ci sono nella ricostruzione storica come fosse un giochino della Settimana Enigmistica, se piuttosto che vedere nei due architetti dei giardini un  modello di umanità superiore, i sacerdoti di una religiosità panica che coniuga il genio umano con la bellezza della natura, tende a notare quanto goffo sia Schoenaerts nei suoi capelli e vestiti oversize e quanto abbia esagerato il parrucchiere della signora Winslet con l’ossigeno, allora forse c’è qualcosa che non va e l’opera è un tacchino che pretende di volare come un’aquila.
Dunque di A little chaos si potrebbe dire che è un’opera riuscita a metà, ricca di potenzialità ma con nodi irrisolti, e, soprattutto, attori protagonisti che non cambiano mai espressione, dolente lei, enigmatica (e anche un po’ volpina) lui.
E il caos? Little, ma davvero tanto little (ma poco male, c’è sempre il meraviglioso Il mistero dei giardini di Compton House a riconciliarci con simmetria razionale e irregolarità naturale).

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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