La scelta di chiudere sull’immagine dell’ultima, tra le partigiane coinvolte nel progetto, ad essere ancora in vita non è casuale: il messaggio arriva senza bisogno di didascalia. Le testimoni di quella stagione di Storia sono sempre meno e il filo che lega presente e passato s’assottiglia inesorabilmente anno dopo anno. Eppure ‘Libere’, il documentario realizzato da Rossella Schillaci e nelle sale in questi giorni di celebrazione per il 25 aprile, non vi è minima traccia della retorica memorialista e sorprende, anzi, come la regia documentaria non s’appiattisca mai sul materiale d’archivio, ma riesca a conferirgli una carica emotiva imprevista, un lirismo intenso, utilizzando immagini e voci in un concerto virtuoso di vivida pregnanza semantica.
Non è cosa facile allacciare comunicazione ed estetica, documentazione storica e poesia, ma l’impresa riesce come un miracolo e la prospettiva femminile non è solo nella flessione del racconto storico, ma anche nello sguardo che filma, nella delicata fermezza nell’investigare i moventi, le ragioni profonde che spinsero delle giovani donne di ogni ceto, religione e credo (o non credo) politico ad aderire alla causa anti-fascista.
Ad interrogare la Storia c’è sempre il rischio di finire a collezionare dati come oggetti d’antiquariato, ma quel che emerge chiaramente in ‘Libere’ è che la storia delle donne nel movimento partigiano non è materia morta, ma sostanza viva di una contemporaneità che ha ancora bisogno di ripensare il femminismo e di recuperarne le radici. Chimamanda Ngozi Adichie, acclamata autrice nigeriana, ha scritto nel 2015 ‘Dovremmo essere tutti femministi’, un libello divenuto manifesto: un suo brano è finito campionato in una canzone di Beyoncé e il suo titolo campeggia nelle t-shirt griffate che gridano all’impegno.
Il nocciolo del pamphlet, divenuto celebre oltre le aspettative, è che oggi il termine ‘femminismo’ può essere utilizzato solo al duale: uomini e donne devono riconoscere insieme che esiste un problema di disparità e cercare, sempre insieme, di risolverlo.
Una delle ex partigiane che presta la sua voce al ricordo – i volti e i corpi non vengono mai mostrati – spiega la sua partecipazione servendosi, inconsapevolmente, dello stesso concetto, ora così alla moda: la voglia di coinvolgimento, un istinto di ‘sorellanza’, il desiderio di superare la polarizzazione tra i due generi e di fare le stesse cose degli uomini, di combattere per la stessa causa mettendo tra parentesi la fatica e la conflittualità della dialettica tra i sessi. «La cosa più bella era sapere di essere tutti compagni, tutti amici», osserva.
La Resistenza fu un’occasione di aggregazione e di formazione, uno spazio concesso alla sperimentazione affettiva, alla maturazione sessuale: «noi combattenti non eravamo asessuati, la vicinanza ci ha permesso di fare esperienza».
La motivazione fu la spinta a superare la paura: «nei momenti di pericolo la paura passa perché si è troppo impegnati per la paura. Si ha paradossalmente più paura nell’attesa dell’azione che nell’azione stessa». Saper di stare facendo qualcosa d’importante ripaga dei sacrifici, dà senso al vivere. «Non ho mai provato felicità più profonda, né prima né dopo la mia militanza partigiana».
La domanda sui perché ottiene, in fondo, sempre la stessa risposta: insoddisfazione per la vita di prima, desiderio di libertà e di emancipazione. La liberazione del paese dal fascismo fu la premessa di un’altra liberazione, quella delle donne dai modelli imposti, dal sacrificio – sull’altare della famiglia – della realizzazione professionale. «Pochissime donne studiavano, erano eccezioni, né tantomeno era concesso avere una professione; il ruolo delle donne doveva essere quello di moglie e madre».
Poi, qualcosa è cambiato e, grazie alla politica, sono arrivate le prime conquiste, ma la società declina ancora al maschile le sue istanze. Decolonizzare il mondo femminile da una visione maschiocentrica dell’impegno civile e delle possibilità esistenziali è ancora più che mai urgente. In ‘Libere’ la regista, con grande sensibilità visiva e l’intuito di vivificare la Storia, prova pur obliquamente a dare una risposta e uno stimolo alle ragazze che oggi hanno la stessa fame di ieri, lo stesso desiderio di sentirsi parte di un impegno comune, di una comune ricerca di senso.