Non c’è un solo vinile in Licorice Pizza. Non un negozio, un rituale, un singolo artwork che racconti la prassi dell’ascolto al di là del riferimento diretto all’esercizio aperto da James Greenwood nel 1969 a Long Beach e ceduto nel 1986 al Musicland Group.
Eppure, il movimento continuo, la dinamica a varia intensità, i registri anche contrastanti veicolati dall’umanità che attraversa l’ultimo film di Paul Thomas Anderson, suggeriscono l’esperienza di quella fruizione, come capacità di vivere lo spazio con ribollente fisicità perduta. Niente a che fare con la nostalgia o il feticismo, ma più con una geografia collettiva che permea gli ambienti, le relazioni e la capacità di cambiarne la morfologia nella durata di un inciso o con l’attraversamento di un carrello, uno dei tanti che sdipanano il racconto secondo coordinate emozionali, individuando, nel transito, l’insorgenza di molteplici incrinature.
Le idee di Gary Valentine nascono dall’incontro tra affabulazione e causalità dell’azione, investendo improvvisamente lo spazio con l’energia del sabotaggio, sempre a metà tra creazione e distruzione. Il colpo di cuscino che atterra sulla replica di Lucille Ball, la macchina del violento Jon Peters improvvisamente distrutta, l’infinito paese dei balocchi da cui prendere un pezzo per orientarsi tra attori e piazzisti, mentre si scambiano ruoli e fette di mercato.
L’innesto pervasivo del mondo catodico nella realtà quotidiana non è così distante da quello descritto in Once Upon a Time in Hollywood, con un immaginario qui colonizzato dall’advertising di massa, mentre il lavoro sul tempo, che per Tarantino emerge dallo scarto combinatorio tra materiali storici aurali e visuali, è per PTA un tour de force legato all’esperienza soggettiva entro i confini della città, luogo del possibile dove la collettività sembra il prodotto di un Io spaccato e attraversato dall’andamento temporale.
Da questo movimento, sui bordi, si esce e si rientra senza posa, ricomponendo il percorso in mille modi diversi, anche a marcia indietro.
I corpi di Gary e Alana, attratti e respinti da forza identica e contraria, si spiano per tutto il film, gesticolano attraverso un vetro che li separa, si perdono per uno scarto del tempo, duellano senza toccarsi frapponendo l’architettura, anche fisica, dei mondi che cercano di abitare. Entrambi inadeguati, entrano ed escono dal solco tracciato per i racconti di formazione, anelando da una parte ad accelerare i tempi che introducono l’ingresso nella vita adulta, dall’altra uscendone violentemente.
Il decennio che li separa, sembra non voler ingranare, introducendo un’inquietudine fortissima per il futuro, capace di parlarci. Apparentemente meno doloroso di un film come Last Night in Soho, che condivide con Licorice Pizza la stessa avventura nello spaziotempo, concentra nel personaggio interpretato da Alana Haim un’asincronia simile nell’accordare il tempo interiore con le pressioni culturali di quello Storico. La fuga di Alana da una professione adulta, corre verso il sogno economico di Gary, ancora potenziale, anarchico, visionario e improvvisativo. Le sue menzogne non feriscono a fondo come le molestie di Jon Peters, non sono ancora la dimensione che informa tutto il sistema politico, né alimentano l’ego tossico di un mentitore seriale che sembra la pantomima terminale del rat pack. Sospesa nel limbo di un’estate che non si vorrebbe finisse, in quell’apparente ritorno all’adolescenza, quasi fosse un’educazione sentimentale che procede a ritroso, incarna la stessa inquietudine che anima i testi di Court & Spark, il sesto album di Joni Mitchell composto nel 1973 e così preciso nel raccontare una Los Angeles immersa nei mutamenti emozionali, amorosi e identitari: “We love our lovin’ / But not like we love our freedom”.
PTA mantiene la linea dei suoi film più astratti, ma empiricamente legati al fluire del movimento, incarnando l’esperienza dell’occhio nell’avventura, spesso accidentata, del tempo. Il “someplace else” di Vizio di Forma, spazio tra realtà e sogno collocato sul ciglio della strada, occupa una curvatura non lineare. Penetrano allora altre vite, in quell’anti-coralità disallineata e caotica che caratterizza il cinema del regista americano, dove i personaggi proliferano come veri e propri guastatori. La furia distruttiva di Bradley Cooper che spacca vetrine e costringe i nostri a ripercorrere gli stessi passi, una, due, tre volte, destabilizza e costringe a sperimentare nuovi stimoli, sulla china tra creazione e perdita, vita e morte.
Licorice Pizza diventa allora un’esperienza di realismo accecante, nella sua ricerca di verità attraverso lo choc dell’incontro, la violenza dello scontro. L’autenticità che scaturisce dal caos, non dalla volontà.
Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson (USA 2021 – 133 min)
Interpreti: Alana Haim, Cooper Hoffman, Sean Penn, Tom Waits, Bradley Cooper, Benny Safdie, Christine Ebersole, Kathy Trinh, Skyler Gisondo, Greg Goetzman, Max Mitchell, Maya Rudolph, Lori Killam, Harriet Sansom Harris, Coco Soren, Isabelle Kusman, Ray Nicholson, Trevor Tavares, Will Angarola, Emma Dumont, Mary Elizabeth Ellis, Yumi Mizui, John Michael Higgins, Danielle Haim, Este Haim, Donna Haim, Moti Haim, Phil Bray, Milo Herschlag, James Kelley, Griff Giacchino
Sceneggiatura: Paul Thomas Anderson
Fotografia: Michael Bauman e Paul Thomas Anderson
Montaggio: Andy Jurgensen
Musica: Jonny Greenwood