giovedì, Dicembre 19, 2024

Life di Anton Corbijn: la recensione

Avere ventisei anni nel 1955 a New York ed entrare alla Magnum Photos Inc. perchè primo premio nel concorso indetto da Life magazine per giovani fotografi è già trovarsi sulla strada giusta.
Se poi Dennis Stock, mentre paparazza fra un red carpet e l’altro di Los Angeles, è invitato al party di Nicholas Ray e lì incontra il quasi coetaneo James Dean, è un chiaro segno del destino e un altro capitolo glorioso sta per essere scritto negli annali della Magnum Photos.
Ma stavolta niente guerre né Stati nascenti in terra d’Israele, né ultime foto del Mahatma Gandhi prima del suo assassinio o tribù Nubas del Sudan prossime alla sparizione.
Quella che preme sull’obiettivo della sua Leica M1 è l’America della “gioventù bruciata” che corre veloce e spesso si ferma solo dopo un crash, quella on the road di Kerouac e dei reading di Ginsberg “… una enorme, triste commedia di fraseggi selvaggi, di immagini senza significato per la bellezza di poesia astratta, ininterrotta, che creavano combinazioni maldestre come il procedere di Charlie Chaplin…” (A.Ginsberg, Howl ).
E’ “… la nuova generazione che purtroppo fu definita beat… – racconta la Pivano (da introd. ad Allen Ginsberg, Juke box all’idrogeno, 2004, RCS quotidiani) – … un presago rifiuto di qualsiasi materiale di poesia che non venisse dalla vita corrente, un ritratto apocalittico della società maccartista in sfacelo, la descrizione di tutti i pericoli nei quali i giovani d’America erano già immersi fino al collo, l’irresponsabilità e la gioia di vivere … giovani pazzi di vivere e inconsapevoli suicidi di una vita troppo stellante…”.

E’ Jimmy Dean che morì il 30 settembre del 1955.
La sua Porsche 550 spyder si schiantò sulla U.S. Route 466, a est di Cholame, California.
Aveva 25 anni ed Elia Kazan ne La valle dell’Eden, Nicholas Ray in Gioventù bruciata e George Stevens ne Il gigante ne fecero un mito di nome ora Cal, ora Dick ora, infine, Jett.
Ribelli, insopportabili, combinazioni maldestre, come il procedere di Charlie Chaplin, quelli come lui erano il mondo nuovo e il cinema era lì a riprenderli.

E oggi, sessanta anni dopo, Anton Corbijn, fotografo olandese, regista di videoclip e documentari musicali, autentico cultore di qualcosa che genere non è ma con lui lo diventa, il genio giovanile e la sua morte precoce (Control, 2007, sulla figura di Ian Curtis leader dei Joy Division morto suicida a 23 anni, A Most Wanted Man, 2014, con un intenso Philip Seymour Hoffman nel suo ultimo film) sceglie Robert Pattinson per la parte di Dennis Stock e Dane DeHaan per James Dean e li muove intorno all’obiettivo fotografico che li fece incontrare.
Quello che Corbijn mette in scena non è un biopic, è il viaggio concettuale che sempre la fotografia costruisce intorno ai due poli, il soggetto inquadrato e l’occhio che guarda, e spinge lo sguardo verso un oltre che è al di là dello spazio e del tempo.
Sulla strada verso l’Ovest che i due attraversarono insieme, il primo per conto di Life, il secondo perché era un modo per fuggire da qualcosa per cercare qualcos’altro e di solito non trovare niente di quello che voleva, per una di quelle strane alchimie della vita che a volte si verificano, scoprirono insicurezze comuni, si accorsero di vivere nello stesso universo sociale e generazionale, ne avvertirono il peso e l’unicità, vissero un’amicizia breve e intensa, interrotta dalla morte.
Gli scatti lontano da Hollywood, sul marciapiede lucido dell’inverno in Times Square, infagottato nel lungo cappotto scuro, le spalle strette sotto la pioggia e la cicca in bocca, le istantanee colte nella fattoria dello zio in Indiana a spegnere le candeline del compleanno e sentire di nuovo il calore di un mondo dove bisognava tornare, ma ormai era troppo tardi, lasciarono al mondo della fotografia d’autore e al nostro immaginario le icone indimenticabili di un ragazzo ancora abbastanza sconosciuto, ma colpito poi da una popolarità postuma così straordinaria da costringerci a chiederci perché.
E la risposta è il potere dell’immagine, quello per cui “life” finisce di essere solo una parola, un gesto verbale.
Life è un magazine che ha dato il via ad un’operazione da cui è nata un’icona; è un archivio fotografico famoso soprattutto per quelle istantanee; è la vita di un giovane fotografo di cui Luke Davies, lo sceneggiatore di Life, dice:
Quello che gli ha reso per i successivi 40 anni è stato quel momento, non tutte le altre cose che ha fatto. Penso che sia stata sia una maledizione che una benedizione.

Costretti a rientrare a New York per la première de La valle dell’Eden (mister Jack Warner era intransigente sugli appuntamenti), i due si separarono e sul finire di quell’estate Jimmy morì.
Oggi Dennis Stock trova in Pattinson un convincente alter ego, di quel che corse tra lui e il “ragazzo selvaggio” sappiamo solo ciò che vide il suo occhio fotografico, ed è un James Dean che già le parole di Kazan avevano scolpito a parole nei suoi diari:
Sentivo che il corpo di Dean era molto grafico, a volte era letteralmente torto dal dolore. Stava sempre storto, quasi come uno storpio o una specie di spastico. Non riusciva a far niente stando dritto. Addirittura camminava come un granchio, come se cercasse sempre di rannicchiarsi. Io me ne accorgevo, ma non è una cosa visibile nei primi piani. Comunque Dean era storpio dentro – non era come Brando. La gente li paragonava, ma non c’era nessuna somiglianza. Lui era un ragazzo molto, molto più malato. Brando invece non è malato, è solo tormentato. Ma penso comunque che ci sia qualcosa di speciale nel volto di Dean. E’ un volto così desolato e solo e strano che a volte sembra invocare tenerezza, altre è come se con quel suo sguardo corrucciato cercasse invece di sfidare il mondo intero”.

Quanto a DeHaan, a lungo titubante se accettare la parte di un mito del genere, Jimmy Dean sembra trasferire in lui qualcosa del suo carisma. Certo non è facile misurarsi con le parole di Elia Kazan, uno che lo conosceva bene, e incarnare quella “… considerevole dose d’ innocenza intrisa di autocommiserazione priva di forza e di coraggio, ma sorretta da una sorta di disperazione che nascondeva un odio profondo che non riusciva a trovare alcuna valvola di sfogo.”
Miscela inimitabile di narcisismo e insicurezza, irriverenza e innocenza, disperazione e stellare luminosità, Jimmy Dean ha la stessa distanza dalle sue copie che le immagini terrene hanno dagli originali divini. Bisogna farsene una ragione.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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