Scritto ancora una volta insieme a Joelle Touma, il nuovo film di Ziad Doueiri prende spunto da un banale episodio di vita vissuta dallo stesso regista per trasformarsi in un courtroom drama incentrato sulle divisioni politiche e religiose che hanno segnato la storia del Libano.
Toni (Adel Karam) è un meccanico vicino alle posizioni del partito cristiano libanese, sposato con Shirine (Rita Hayek), aspetta un figlio da questa. Quando un operaio palestinese, Yasser, tenterà di riparare il tubo che perde dal suo balcone, il meccanico rifiuterà in modo brutale i suoi servigi, rimediandosi un insulto da parte dell’operaio.
Yasser rifiuterà di scusarsi a più riprese e quando Toni lo investirà con furia, pronunciando parole cariche di odio politico e religioso, verrà colpito con un pugno dall’operaio. Sullo sfondo un servizio televisivo dedicato a Bachir Gemayel, leader Cristiano assassinato, la cui posizione oltranzista nei confronti dei palestinesi viene identificata come l’origine di una manipolazione mediatica che si appropria delle ragioni e dei sentimenti di un popolo intero.
Da personale la questione si trasformerà in una causa per aggressione, ma le ragioni sono diverse e coinvolgono l’identità politica e religiosa di tutti gli attori coinvolti, inclusi gli avvocati.
Doueiri, che ha lavorato a lungo a metà tra il suo paese natale e gli Stati Uniti, costruisce un vero e proprio apologo sulla tolleranza e la convivenza alternando le fasi del processo alla ricostruzione storica, il ruolo dei media alla vita privata dei suoi protagonisti, cercando a tratti di evocare un immaginario poetico e simbolico, il cui scopo sembra quello di caricare di senso aspetti già irrimediabilmente didascalici.
Da una parte prova ad imboccare la strada di un racconto sulla moltiplicazione soggettiva della verità e del punto di vista, memore del recente cinema di Asghar Farhadi, ma senza la sua capacità di interrogare l’ambiguità del reale tra le cose, gli avvenimenti, i volti e la Storia.
The insult è sfortunatamente un film opaco, anche quando rivendica complessità nella tessitura degli intrecci e degli interessi in campo. Ciascun personaggio assume di volta in volta il ruolo di narratore, come nella prassi processuale, chiudendo il racconto in una dimensione binaria, dove alla chiarezza degli intenti non viene mai allineata la semplicità e la possibilità del gesto, colto nella sua incertezza. Dalla sua lunga esperienza con Tarantino, Doueiri desume una sicurezza notevole nella costruzione del ritmo, ma lo mette al servizio di uno schema già definito per funzionare in un certo modo e per chiudere immagine e narrazione nello spazio troppo visibile di una soluzione ideale.