La storia di Francesca Woodman è tragica, e questo, dal toccante documentario diretto da C. Scott Willis, vincitore del premio per il miglior documentario al Tribeca Film Festival, lo si capisce subito. The Woodmans non racconta solo del suicidio di una ragazza di 22 anni, Francesca Woodman (1958-1981) dal sorprendente talento fotografico, che nella sua brevissima carriera ha realizzato foto che oggi ci appaiono attuali in un modo scioccante e che vengono celebrate con numerose esposizioni (le ultime a Siena e a Milano), ma quella di un’intera famiglia votata all’arte. Che di una storia tragica si tratta viene dichiarato subito, dalle parole di Betty, la madre di Francesca, e del padre, Charlie entrambi artisti. Raccontano la storia, come si sono incontrati e sposati andando contro le rispettive famiglie (lui un borghese del New Hampshire lei ebrea di origini russe) e inserendosi faticosamente nella rigida società americana degli anni 50, conservando la coerenza del loro lavoro. Betty lavora con la ceramica creando degli oggetti funzionali che siano belli oltre che di comune utilizzo e Charlie dipinge e insegna. Arriva il primo figlio, George e poi Francesca, ma le attenzioni si rivolgono subito sul primogenito al quale a sei anni viene diagnosticato il diabete. Da qui si snodano i ricordi: le foto e i filmati scioccanti e provocatori di Francesca si sovrappongono alle foto di una famiglia non convenzionale che trascorre molto tempo all’estero, in Toscana, nelle campagne fiorentine, vivendo e nutrendosi di arte; poi l’allontanarsi della figlia per il College, le testimonianze delle sue amiche e colleghe, delle sue modelle, il suo grande amore Benjamin e ancora il suo lavoro incessante e il continuo lavorio della sua mente che lei registrava sul suo diario, i primi segni di un cedimento psichico e il suicidio buttandosi da un grattacielo di New York. Interessante l’ultima parte del documentario di Scott Willis sull’intensa elaborazione del dolore e sulla rinascita attraverso l’arte con Charlie che dopo la tragedia non riusciva più a leggere e ricomincia a interessarsi alla bellezza con le poesie di Emily Dickinson: «Riuscivo a concentrarmi su quei versi perché erano belli, ma soprattutto brevi» abbandonando l’astrattismo pittorico e cominciando a dedicarsi alla fotografia e Betty che sceglie di ricominciare a lavorare la ceramica creando cose semplici non più funzionali trovando nel suo lavoro, l’arte, la possibilità di guarire.
In occasione della proiezione di The Woodmans al cinema Odeon per la rassegna Lo Schermo dell’Arte, C. Scott Willis ha risposto alle domande del pubblico.
D. Riesce a spiegare il successo che le opere di Francesca stanno riscuotendo negli ultimi anni?
Accadde otto anni dopo la sua scomparsa quando il curatore di un museo in visita a casa dei Woodman notò una foto scattata da Francesca. Fu un episodio del tutto casuale perché Betty e George non tengono appese molte foto della figlia. Quando ci penso sempre più mi convinco che era quello che realizzava che la faceva stare bene, l’arte. Quando ha interrotto è andata in pezzi.
D. Lei ha detto di non a mai conosciuto Francesca personalmente. Come ha incontrato i Woodman?
A New York City ad una festa facendo una gaffe. Non conoscevo il loro lavoro e chiacchierando scoprì che entrambe le nostre figlie avevano studiato fotografia, così chiesi se mia figlia poteva chiamare la loro. Quando seppi la verità ero così imbarazzato che loro si dispiacquero per me e cominciarono a raccontarmi così capii che c’era una storia davvero interessante da raccontare.
D. Le foto di Francesca Woondman riflettono una grande fragilità e un mondo interiore piuttosto tormentato. Crede che la sua tragica scomparsa sia legata con questo modo di vivere la sua arte?
È vero, anche se non credo che il suo suicidio sia per forza connesso con il suo modo di vivere l’arte, ma bensì con dei conflitti emotivi molto seri. Non credo che gli artisti siano tutti necessariamente fragili, forse solo un po’ più pazzi. Le opere di Francesca, confrontate anche con gli estratti del suo diario riflettono una grande gioia di vivere, ma non è riuscita a vincere l’inquietudine con il lavoro.
D. Il suo film non è solo il ritratto di un’artista affascinante, ma la storia di una famiglia.
The Woodmans è il film più difficile che io abbia mai girato. Ho seguito tutti i film presentati nell’ambito de Lo Schermo dell’Arte, spesso totalmente diversi dal mio, e in tutti ho riscontrato la comune ricerca della verità da parte degli artisti. Io ho un background molto diverso; ho girato film di inchiesta e di denuncia nei quali mi sono sempre impegnato a cercare la verità e lo stesso impegno l’ho messo in questo progetto, ma la verità di una famiglia è difficile da raccontare.
D. Nel film si accenna alle relazioni sentimentali di Francesca, ma del suo primo grande amore, Benjamin, non si sa molto.
Ho contattato Benjamin che però non ha voluto parlare per ragioni personali, delicate e comprensibili. Charlie e Betty sono stati molto generosi con me mettendomi a disposizione i diari di Francesca, i suoi appunti e il suo lavoro. A parte Benjamin non ho ritenuto necessario indagare per evitare un approccio troppo invasivo.