Avete mai visto esplodere una pentola a pressione? Una palingenesi. Quel mondo di cibi sottoposti ad una cottura contro cui niente si può, improvvisamente fuoriesce dal ventre e inonda le pareti, le piastrelle, il pavimento, il cane e il volto della zia Beppina, china sulla valvola dell’utensile e intenta a seguirne l’ipnotico balletto, sollecitato dal vapore.
I nutrienti dei cibi sono già andati, fottuti, bolliti insieme al cervello della vecchia, che a forza di stipar bietole dentro quella pancia inox, ci ha rimesso la buccia insieme a tutti i valori proteici.
Le importa un cazzo della concentrazione d’acqua negli alimenti e delle mutazioni molecolari dovute al riscaldamento. Nonostante abbia vissuto i suoi primi vent’anni in campagna, dove l’ovetto bolliva prima, si è dimenticata quel bagaglio empirico, per abbandonarsi alle lusinghe della vita di città. Le sue abitudini si sono velocemente corrotte, la logica è rimasta identica.
L’automatismo necessario per mungere una vacca è lo stesso impiegato nell’osservazione della valvola con il ballo di san vito. Bella da vedere, inganna il tempo, misurandolo e annunciandone la fine con un fischio trionfale. Uno strumento deve esser buono per tutte le stagioni e il suo funzionamento è strettamente connesso ai benefici del progresso. Si va avanti, non si guarda indietro, proprio per questo la pentola a pressione non può fallire.
Beppina è morta per eccesso di fiducia, ha il cranio spappolato. L’arista rinsecchita piantata tra naso e occhi, le pantofole sfilate finite sotto il lavello, le calze di cinquanta centimetri coperte di sugo, acqua e spinaci.
Che vita di merda povera Zia, non le volevo bene, ma ha fatto una fine orrenda.
L’agenda politica ci impone di parlar d’altro, quella dello spettacolo non è diversa. Un coro all’unisono. Grazie a Dio la zia si è tolta di culo e non ha più l’obbligo del salmo responsoriale.