Se si esclude Capture, il film che l’israeliana Tamar Rudoy ha girato come tesi di laurea, questo Daughter of the bride è il suo vero e proprio debutto. Scritto insieme all’amica Timna Rose Perets, che nel corto interpreta Tirza, la protagonista, conferma il sodalizio tra le due artiste, cominciato proprio alla Minshar School of Art e proseguito nelle rispettive produzioni dove si sono spesso scambiate i ruoli.
Presentato nella sezione corti del Lucca film festival curata da Rachele Pollastrini, il film è dedicato e in parte ispirato al cinema di John Cassavetes. Riflessione introspettiva sull’immagine femminile e sul modo in cui questa stessa immagine entri in collisione con la percezione del proprio mondo.
La Rudoy segue Tirza nel suo lavoro con una band hardcore, mentre esprime rabbia attraverso il growling; un ruolo che tende a negare con forza gli aspetti più convenzionali della femminilità e che cercherà di camuffare quando dovrà servirsi di una truccatrice del luogo per alcuni test di make up, in previsione delle nuove nozze materne.
La nuova immagine la metterà progressivamente in contatto con alcuni aspetti della sua femminilità con i quali non riesce e non vuole scendere a patti.
Allo stesso tempo, il contatto con la truccatrice ha il calore di un abbraccio materno e guida Tirza al raggiungimento di una maggior confidenza con il suo aspetto, attraverso la tenerezza dello sguardo.
Tama Rudoy segue la sua attrice con molta empatia, utilizzando i mezzi di un cinema diretto ed ellittico allo stesso tempo. Tutta la seconda parte del corto dedicata al matrimonio della madre, invece di scegliere la via di un racconto soggettivo tradizionale, si concentra sempre di più sul volto di Timna Rose Perets e sulle sue incertezze, escludendo volti e situazioni e isolandola totalmente dalle azioni e dal contesto ambientale. È l’immagine allo specchio, il vedersi improvvisamente vista, la ricerca di un’espressione adeguata e in sintonia con la propria identità a diventare il centro stesso del film diretto dalla Rudoy. Quello di Tirza è un volto, ma allo stesso tempo una tavolozza di segni che ci conduce dentro un’idea di cinema da camera, lieve e rigorosa allo stesso tempo.