Luce, corpo, colore, materia. Queste le caratteristiche del cinema di Philippe Cote alla cui memoria è dedicato Elements 1,2,3, film in concorso al Lucca Film Festival 2017, nella sezione corti curata da Rachele Pollastrini.
Insieme a Tomaž Burlin Cote faceva parte del collettivo cinematografico L’Etna, laboratorio artigianale fondato alla fine degli anni novanta e situato in 71 rue Robespierre, proprio all’interno della banlieue parigina.
Nello spirito del collettivo, Burlin filma in un bianconero 16mm, mantenendo le imperfezioni e le differenti velocità meccaniche dell’immagine.
La luce e la grana sono ancora una volta al centro di questo film sviluppato in tre perifrasi, lungo tre diverse ambientazioni.
Una foresta tropicale, immagini sotto la superficie dell’acqua e alcune costruzioni urbane.
La struttura perifrastica si manifesta nel dialogo, anche contrastante, tra musica e immagini, grazie all’impiego di tre brani provenienti dal repertorio discografico di Vinko Globokar, trombonista francese di origini slovene, la cui sperimentazione sonora ha liberato il Jazz da qualsiasi convenzione, privilegiando l’enfasi spontaneista dell’istinto e dell’improvvisazione ludica.
Ed è un viaggio del tutto istintivo quello di Burlin, tra i suoni dei fiati che mimano animali selvaggi, oppure il gorgoglio dell’acqua, fino alla commistione tra marmo e metallo di un complesso industriale.
Quello di Tomaž Burlin è ovviamente un cinema di ricerca che guarda alla dimensione aurorale delle avanguardie storiche, in particolare ci viene in mente il primo Jean Epstein (Coeur fidèle, La Belle Nivernaise), tra frammentazione del punto di vista e dimensione tattile dell’immagine.