Beatriz Vilariño è cresciuta a Vilagarcia de Arousa, vicino al mare della Galizia. Questa relazione con l’acqua e la terra le ha consentito di interessarsi ai piccoli fenomeni, alle tracce immateriali della vita, alle manifestazioni della luce. Il suo è un cinema sensoriale che cerca in tutti i modi di erodere l’immagine, sgombrandola da elementi superflui e cercandone l’essenza, la radice.
#empty, in concorso all’LFF 2017 nella sezione corti curata da Rachele Pollastrini, procede certamente per sottrazione e sostituisce la pagina bianca con lo schermo digitale di un elaboratore testi. Quello stesso schermo diventerà poi un foglio, la stampa di una screenshot, e rivelerà, livello dopo livello, un’enorme stanza vuota dove una donna si confronta con le proprie memorie, attraverso segni, tracce e oggetti.
La Vilariño scompone e confronta memoria digitale con quella materiale e non ci racconta molto della sua protagonista, a farlo sono i frammenti che passano dallo spazio virtuale a quello performativo. Fotografie, sculture, lettere d’amore, foto di un viaggio, il passaggio evanescente dei sentimenti. E di nuovo quella stanza vuota, bianca come il foglio prima della scrittura.