La brasiliana Ana Vaz è una cineasta preziosa. Nel suo cinema la relazione tra identità, storia e mito ha una posizione centrale, tanto da spingerla ad utilizzare complesse tecniche di racconto dove l’assemblaggio, le diverse fonti aurali e visive, il found footage e il cinema tout court, contribuiscono a riconfigurare la retorica del documentario etnografico, virando in modo più specifico verso il cinema di poesia come accade per autori come Miguel Gomes.
Per la stessa Vaz Ha! Terra filma il movimento di un combattente, il suo occhio come sguardo diacronico sulla storia in divenire. La corsa tra predatore e preda nello slittamento della soggettiva tra figura umana e sfondo, quindi terra e personaggio, terra e identità in contrasto.
Filmato in 16mm e con il suono fuori campo disassemblato da alcuni frammenti di Francisca di Manoel de Oliveira, Ha! Terra segue la lotta giocosa di una nativa con la macchina da presa, mentre le parole di memoria coloniale “Terra! Terra!” vengono ripetute ossessivamente da una voce fuori campo.
L’entroterra brasiliano emerge come personificazione diretta del territorio attraverso la figura della ragazza e la sua corsa fuori dal “quadro”, come se fosse corpo inenarrabile, irregimentabile, inafferrabile, ininquadrabile anche dal fuoco della macchina da presa.
Il confronto rappresentativo, al contrario, è quello con le convenzioni dell’etnografia tradizionale rifiutata dalla Vaz e sintetizzata dalle pitture di Johann Moritz Rugendas che compaiono alla fine del film e che la cineasta brasiliana monta in modo quasi improvvisativo, per liberare quella stessa rappresentazione e renderla finalmente viva. Contro ogni forma di espropriazione quindi, perché è il nativo stesso per Ana Vaz ad assumere la qualità apolide dello sradicamento, l’idea rivoluzionaria del senza terra come qualcuno che non necessita di radici.
Cinema politico ma che rifiuta l’immaginario politico di un cinema ideologicamente predeterminato, come ha raccontato la Vaz in numerose interviste. È invece il materiale che le interessa, la territorialità, la scrittura, il punto di vista.
Bellissimo film in concorso nella sezione corti dell’LFF 2017 curata da Rachele Pollastrini.