Ad una prima lettura, il film dell’olandese Pim Zwier, si configura come un omaggio ai primi esperimenti fotografici ideati dal russo Sergey Prokudin-Gorsky, sullo sfondo della città-fortezza di Kronstadt. Per Zwier il centro nevralgico della città rappresentato dalla cattedrale di San Nicola, coincide con il rilancio di una zona originariamente chiusa entro la sua funzione militare. Quali tracce sono rimaste? si chiede Zwier nel confrontare la storia politica e sociale della città, con la nuova destinazione turistica.
Dalle tecniche di Prokudin-Gorsky, Zwier recupera gli esperimenti tricromatici basati sullo spazio di colore additivo RGB, rendendone quindi evidente il processo di scomposizione e la separazione degli elementi.
Passanti, corpi in movimento, macchine e diverse versioni dello stesso paesaggio emergono come tracce fantasmatiche a cui affida l’una o l’altra dominante di colore.
L’omaggio diventa allora una riflessione sulla memoria storica, molto simile ad un precedente lavoro del regista olandese, intitolato “Three Dimensions of Time“, dove con la stessa tripartizione dello spazio-colore si passava da un’immagine completa agli elementi costitutivi della stessa, per indicare la persistenza di alcune tracce nel tempo, attraverso la definizione di uno spazio colorimetrico.
Sea Factory, presentato al Lucca Film Festival nella sezione corti curata da Rachele Pollastrini, ha una qualità squisitamente contemplativa come tutto il cinema di Zwier, curatore di mostre e artista visuale. In questo caso è il suono ad aggiungere una qualità specifica alla stratificazione dell’immagine; lo sciabordio dell’acqua emerge come un ventre che apre e chiude la serie di quadri paesaggistici, dove la tricromia trova finalmente la sua dimensione irriducibile e a-temporale.