David Wnendt, regista, ha 38 anni. La sua è la generazione “di mezzo”, quella che sta fra i padri, nobili e ignobili, che quel passato l’hanno sfiorato o addirittura vissuto in diretta, e il popolo dei selfies, dei proto-disoccupati e dei disoccupati a tempo pieno, che ben altro hanno da fare che rileggere la storia. Normale che abbia lo sguardo lungo di chi ben sa che il futuro è alle sue spalle.
Chi sceglie Wnendt per fare un film? Quale nome pone al centro di una, non sappiamo se chiamarla satira, tragedia, commedia, rêverie, visione d’Inferno? Quale sintesi somma di un secolo, marchio indelebile sulla coscienza delle sue generazioni, tatuaggio inciso nella carne a lettere di fuoco?
Ma lui, il pittore mancato, il “ politico austriaco naturalizzato tedesco, cancelliere del Reich dal 1933 e dittatore, col titolo di Führer, della Germania dal 1934 al 1945 ” (così recita Wikipedia, un nome che piace tanto a Hitler per quel Wiki che ricorda i Vichinghi!).
All’ingresso in scena del Führer, l’Ouverture da La gazza ladra di Rossini apre le danze.
Scelta sublime, che dà senso e ritmo a tutta l’opera: “ Non si era ancora alla fine del primo presto, che il pubblico sembrò ebbro di piacere. Tutti accompagnavano l’orchestra. Da quel momento l’opera e il suo successo furono una sola scena di entusiasmo. Ad ogni brano Rossini doveva alzarsi più volte dal suo posto al piano per salutare il pubblico; e si stancò prima lui di salutare che il pubblico di applaudire ”
Così Stendhal in tempi non sospetti (ma allora parlava di musica e di Rossini). “ This is the song I will listen to building my empire” è invece un inquietante commento al brano fra i tanti su you tube. Le scelte musicali del film sono parte integrante del suo linguaggio.
Dal Rossini della Gazza e del Barbiere alla fanfara della Radetsky March, dall’ Harry Lime Theme, Der Dritte Mann di Anton Karas nella sequenza di Hitler ritrattista di strada per autofinanziarsi, al Music for the Funeral of Queen Mary di Purcell, quando la tensione sale e la commozione nostalgica si fa intensa, e ancora la Tritsch-Tratsch-Polka di Johann Strauss II per i volteggi in autoscontro di Fabian e Adolf e il mitico Lead Belly che accompagna i titoli di coda con Hitler Song (Mr. Hitler) mentre il Führer va in giro pastorale, su fiammante Mercedes, con la biondissima signora Bellini (Katja Riemann), la traccia sonora dà il suo contributo fortemente straniante alla lettura delle immagini.
E di straniamento è il caso di parlare, di quel ribaltamento del reale che, per la paradossale rifrazione tipica della satira, si riproduce davanti ai nostri occhi più reale del reale, destando meraviglia. David Wnendt, e prima di lui Timur Vermes, autore del best seller Er ist wieder da da cui è tratto il film, hanno visto giusto immaginando il risveglio di Hitler a Marzhan, popolosa zona est di Berlino, tra le aiuole di un cortile condominiale. Solo che, piuttosto che in marcia verso la Polonia, lo fanno partire alla conquista dei media come una pop star. E ben gliene incoglie, l’effetto virale nella rete di you tube (1 milione di persone per il video caricato da Fabian Sawatzki (Fabian Busch), il reporter che lo scopre) e la guerra a colpi di share delle emittenti televisive funzionano meglio della dodicesima armata.
Voice over dello stesso Führer, la cronistoria di questa resurrezione del terzo millennio è raccontata con ottimo doppiaggio e si fa fatica a separare finzione da realtà. Dallo spettacolo comico in tivù dove Hitler, creduto sulle prime un attore, approda trascinato da Fabian, al tour propagandistico per la Germania, senza copione, con comparse vere dal volto oscurato (privacy, innanzitutto!) che alzano il braccio, annuiscono, ascoltano attenti (qualcuno fa il dito medio, ma pochi), il passo è breve.
Il teorema di base sotteso al libro e al film è così dimostrato: “Potenzialmente un terzo dei tedeschi voterebbe un partito di destra in Germania, se solo ce ne fosse uno credibile. Per fortuna l’NDP, il partito nazionalista, non lo è, ma bisogna fare attenzione alla nuova formazione Alternative für Deutschland. Formata solo da professori universitari, dietro il suo antieuropeismo nasconde anche molti pensieri pregni d’intolleranza e razzismo. La mia generazione rischia di dimenticare il passato. Bombardati da un mare di informazioni e nozioni, si fa fatica a sviluppare senso critico e a leggere il presente con coscienza critica“. Nel mettere in scena questa storia surreale Vermes/Wnendt scelgono il registro del comico. Nulla di più adeguato, ricordiamo quello che disse il Maestro Sinopoli parlando di nazismo: “ Il nazismo non è tragicità di pensiero, ma tragicità gestuale, è un palazzo con le pareti di carta e vuoto dentro, una sorta di superapparizione del gesto in cui il pensiero non esiste.”
Quello che invece è tragicamente reale è ciò che dice lo scrittore, ribadito dal regista: ” Io mostro nel mio libro come Hitler si sveglia e si trova alla fine in grado di riconquistare il potere … Che sembra essere tutt’altro che una banalizzazione del male. In Germania siamo sicuri di essere immunizzati contro un nuovo Hitler? Credo il contrario. Ovviamente è più facile essere democratici quando il paese è ricco. Ma se le circostanze cambiano, tutto può andare molto veloce per un demagogo. Per quanto riguarda presentare Hitler “simpatico”, il rischio concreto è stato quello di ritrarlo come un mostro o, al contrario, come un semplice pagliaccio. In Germania, dopo la guerra, era confortevole e rassicurante presentare Hitler come una persona malvagia. Ma le persone non votano per un mostro o un pazzo: votano per qualcuno che trovano attraente. Hitler è stato eletto, e questa è la cosa più spaventosa “.
Dopo essersi adeguatamente documentato sfogliando le news di geopolitica fra i giornali, chiuso nel retro dell’edicola che l’ha ospitato dopo il primo risveglio, preso opportunamente atto del degrado successivo ai suoi tempi eroici (Lo Stato è nelle mani di una donna rozza con il carisma di un salice piangente dice della Merkel) il Führer, interpretato da un ottimo Oliver Masucci che per l’occasione è ingrassato 20 chili e dà al suo Hitler un aplomb teutonico che il poverino mai non ebbe, parte con Fabian alla conquista della nuova Germania.
Il nostro Fabian è un biondo, tenero ometto dagli occhi che più azzurri non si può, pura razza ariana ma senza un briciolo di midollo. Hitler si ripromette di farlo fucilare quanto prima, ma per ora gli è utile e dunque via alla conquista del Quarto Reich. Appena licenziato dall’emittente televisiva dove lavorava precario, Fabian si fa prestare dalla “mammina” fioraia qualche euro e il furgoncino con le rose dipinte. Hitler dovrà sopportare anche le rose, ma per la Patria questo e altro. Da questo momento le gag ci travolgono, la storia fa il suo corso e merita di essere seguita con la giusta dose di divertimento e godimento. Ma attenzione, ora Hitler ha scoperto il computer, ne è entusiasta: “ E’ una delle più sorprendenti conquiste dell’umanità” esclama, si fa una mail (si scopre che il suo nome c’è già, ne usa uno nuovo e adeguato), si muove a suo agio nel consiglio di amministrazione dell’emittente mettendo tutti a tacere e al povero Fabian, che finirà ben presto al servizio psichiatrico, dichiara solennemente, dopo aver visto come vanno le cose in giro: “Ora ho una visione d’insieme e posso dire che le condizioni mi sono favorevoli, in Germania, in Europa, nel mondo”.
E se qualcuno prova ad obiettare qualcosa dicendogli: “ Sei un mostro”, questa è la sua risposta: “ Nel 1933 nessun popolo è stato ingannato, con nessuna propaganda. Mi hanno scelto ed avevo espresso le mie idee con molta chiarezza. La Germania mi ha eletto. Erano tutti mostri? No era gente comune che decise di votare per un uomo fuori dal comune. In fondo siete tutti come me, non ci si può liberare di me, sono una parte di tutti voi. Lo riconosca, non sono poi così male”.