venerdì, Novembre 22, 2024

L’ultima parola – la vera storia di Dalton Trumbo di Jay Roach: quella piccola statuetta sporca di sangue

La storia non si snoda /come una catena / di anelli ininterrotta. / In ogni caso / molti anelli non tengono… scriveva Montale, e di questa legge non scritta dovrebbe tener conto chi crede di scrivere la Storia a lettere di fuoco.
L’ultima parola: la vera storia di Dalton Trumbo è l’ennesima tessera che va ad aggiungersi al grande puzzle che lentamente ma inesorabilmente il tempo ricompone, aggiungendo un altro capitolo a quella lunga storia di violenza, abuso di potere e manipolazione della verità che fu l’ HCUA, House Committee on Un-American Activities, Commissione per le Attività Antiamericane, attivo negli States nel secondo dopoguerra e soppresso per legge solo nel 1975.

La storia vera di Dalton Trumbo, scrittore, sceneggiatore di Vacanze romane, Spartacus, Exodus e Papillon, per citare solo alcuni dei film più noti, autore e regista della trasposizione cinematografica del romanzo E Johnny prese il fucile, atto d’accusa contro la follia della guerra ritirato dalle librerie subito dopo l’attacco a Pearl Harbor e ripubblicato nel 1945, diventa oggi un film-testimonianza nelle mani di John McNamara sceneggiatore e Jay Roach regista.
Racconta John McNamara, che studiava sceneggiatura con Ring Lardner Jr., Waldo Salt e Ian McClellan Hunter, tutti inseriti nelle liste nere del senatore McCarthy:
Dissi a Hunter quanto mi fosse piaciuta la sua sceneggiatura di Vacanze Romane. Mi rispose che non era stato lui a scrivere il testo, bensì Dalton Trumbo. Nei due giorni successivi, questi uomini, che avevano vissuto quel periodo in prima persona, ci raccontarono la storia dal loro punto di vista. Quando Ian mi suggerì di leggere la biografia di Trumbo scritta da Bruce Cook, lo feci immediatamente. È una delle situazioni più rare, una storia vera con un finale positivo. A Hollywood ci inventiamo i finali positivi proprio per rimediare al fatto che ce ne siano davvero così pochi nella vita reale. Questa storia mi aveva preso e non mi lasciava più andare, eppure ancora non riuscivo a mettere su carta quello che avevo in testa. Fino a che non trovai un articolo scritto da Nikola, la figlia maggiore di Trumbo”(cit. dal pressbook del film)

Quella che McNamara chiama “la storia dal loro punto di vista” è la storia vera di una delle pagine più sporche degli States, una losca vicenda che colpì migliaia di persone, tolse casa, lavoro e dignità, spinse anche al suicidio, portò sulla sedia elettrica i Rosenberg, costrinse spesso all’esilio.
Storie ormai note, scritte anni dopo, che il cinema raccoglie e divulga com’è giusto che sia, perché Hollywood fu uno dei bersagli più colpiti dalle inchieste della Commissione.
Il cinema era diventato un mezzo troppo pericoloso di diffusione delle idee, la propaganda nazista l’aveva dimostrato e Goebbels era stato il re dell’UFA, ente cinematografico di Stato. Bisognava dunque recidere alla radice il rischio di penetrazione del nuovo pericolo che minacciava il mondo, il “pericolo rosso”.
Il nome di Trumbo non poteva che troneggiare nella lista degli unici dieci uomini di cinema che, fra i molti presi di mira fra gli anni quaranta e cinquanta perché comunisti e sospettati di attività sovversive, si rifiutarono di rispondere ad interrogatori capziosi e liberticidi, dove si pretendevano auto da fè e non accertamento della verità.
La sua militanza comunista risaliva alla fine degli anni ’30, quando questo significava lotte per i diritti civili, rivendicazioni salariali, appoggio all’integrazione dei neri d’America. La Russia non entrava in causa, era un mondo lontano e sconosciuto, battute da guerra fredda del tipo “La Russia non è più un alleato” erano di là da venire.
Ma ai membri della Commissione bastava molto meno, sappiamo che a Joseph Losey, autoesiliatosi in Europa nel ’51, era stato sufficiente aver seguito le lezioni di cinema di Ėjzenštejn a Mosca nel ’35 e collaborato nel ‘47 con Brecht per l’allestimento teatrale della Vita di Galileo per finire nel mirino.
Roach non fa un film politico nel senso comune del termine, una strada già molto battuta che, anche se prodiga sempre di orrori, non stupirebbe più.
Quello che a lui preme è il vero volto di Trumbo, quello che si conosce seguendo le traiettorie di una dolorosa vicenda ultra decennale per scoprirne la coerenza e la profonda dirittura morale. E’ un personaggio messo a fuoco da più punti di vista, in bilico tra pubblico e privato, uomo di successo disposto a rischiare tutto per i suoi ideali.
Ci hanno ridato un nome ” è una brevissima battuta, alla fine del film, e ne è il compendio.
Quella di Trumbo è stata infatti una storia di identità negata, e non solo a lui, anche alla famiglia che gli si è stretta intorno, sempre unita e solidale, con la moglie Cleo e i tre figli, e ad una intera nazione che rinunciò ai principi di libertà e democrazia su cui era nata.

Trumbo parte nella sua battaglia di legalità accusando il Congresso di dimenticare il Primo Emendamento:
Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione, o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti”.
Molto meno idealista, gli risponde l’amico vicino a lui fino alla fine, il radicale irriducibile Arlen Hird (Louis C.K.) : “Oh, se lo ricordano bene, ma non gliene frega un cazzo! ”.
Da questo momento assistiamo ad un crescendo persecutorio inarrestabile, essere comunista, o anche solo essere sospettato di esserlo, apre le porte di processi che solo Kafka avrebbe potuto raccontare, un’autentica guerra di religione camuffata da difesa della Patria e dei suoi valori. Caddero teste e carriere, pochi mantennero occhio vigile e coerenza.
Uno di questi fu Trumbo, che fin dal 1947 rifiutò di rispondere agli interrogatori finendo in carcere per undici mesi e per anni costretto a scrivere copioni sotto falso nome per vivere, lui e la numerosa famiglia.
Qualità minima, quantità massima, gli servono come all’esercito la carta igienica” e diciotto ore al giorno di lavoro per mandare copioni a “ quel cazzone di Frank King (John Goodman)”, l’unico produttore, grezzo ma onesto, che lo pagasse per scrivere sotto falso nome.
Alla fase iniziale, 1947, anno dei diciannove mandati di comparizione a nomi noti dell’establishment hollywoodiano, registi e sceneggiatori affermati, ricchi, di successo internazionale, seguono interrogatori quindi la detenzione per chi si sottrasse o non abiurò.
Sono le sequenze più agghiaccianti, quelle del processo e della reclusione, su cui la mano del regista calca volutamente con scelte espressioniste forti, come l’analisi corporale subita da Trumbo in carcere o l’incontro con il magazziniere nero, analfabeta e violento, che Trumbo, con appropriato parallelismo, paragona alla razza dei bianchi.
E ancora colpisce la galleria di personaggi famosi che denunciano amici e colleghi, in una rincorsa alla delazione degna di tempi in cui si cacciavano streghe.
John Wayne, il Duca, capo dell’Alleanza Cinematografica per la Tutela degli Ideali Americani, tuona dalla tribuna contro i nemici dell’America, lui che “ la guerra – gli dice Trumbol’ha fatta sul set, sparando a salve con il trucco”; Roy Brewer ha allucinazioni ipnagogiche: “… i comunisti sono ovunque, fanno rapporto direttamente a Mosca! ”; Sam Wood ama le immagini cinematografiche : “ In più di un’occasione hanno cercato di spingerci con forza nel “fiume rosso” , e Robert Taylor, decisionista e sbrigativo, liquida brevemente la questione: “ Se potessi fare a modo mio li avrei già rispediti in Russia o in qualche posto spiacevole per loro ”. Su quello che dice Ronald Reagan meglio tacere.
Chiude la sfilata, parziale, i nomi celebri furono tanti di più, il buon vecchio Eddie, Edward G.Robinson, l’amico che si credeva fidato e che alla fine crollò, e al quarto interrogatorio fece i nomi. Aveva bisogno di lavorare, non poteva farlo sotto pseudonimo come molti.
È un patto in stile Faust- commenta RoachPer tornare a lavorare deve tradire i suoi amici, quelli che all’inizio aveva sostenuto. Come molti degli altri personaggi, si trova davanti a un dilemma morale dalle vaste proporzioni”.
Su tutti spicca Hedda Hopper, una perfetta Helen Mirren con i suoi famosi cappellini e i tailleurs confetto, maestra del giornalismo gossiparo, degno sostituto di una deludente carriera nel cinema. Potente e cinica, spregiudicata e abile tessitrice di trame, fu una delle anime del maccartismo fino a quando, maschera grottesca con i bigodini in testa, arrivò la notizia della sconfitta: Kirk Douglas e Otto Preminger sdoganavano Trumbo, il suo nome tornava fra i credits di Spartacus e Exodus, e quello fu il primo colpo mortale all’ HCUA.
Purtroppo però i danni erano stati ormai fatti, nel corpo sociale si era insinuato il virus della paranoia, della diffidenza, dell’ansia di fronte al mondo. La teoria del complotto mise radici tali da scatenare, per tutto il mezzo secolo successivo, conseguenze tali da portare addirittura al “complotto anti-complotto”, come sostiene con voluto paradosso Giulietto Chiesa, il complotto, cioè, contro sè stessi per convincersi di essere nel giusto e scatenare reazioni liberticide, come le cosiddette guerre per la libertà dei popoli.
Opponendosi a tutto questo Trumbo fu assolutamente intransigente nella difesa della libertà vera e pagò un prezzo molto alto. Gli undici mesi di detenzione furono il male minore se rapportati al tempo, lungo anni, in cui fu costretto a ricorrere a pseudonimi per lavorare e mantenere la famiglia, assistendo dal televisore di casa alla consegna dell’ Oscar ai suoi film firmati da altri.
Quando nell’ultima parte della sua vita Trumbo tornò in coperta a lavorare, nulla aveva perso della baldanza un po’ guascona che Bryan Cranston incarna con adesione piena al personaggio.
Bryan è incredibile – dice il regista – Ha trovato un modo per ritrarre gli aspetti artistici di Trumbo, senza però falsare la realtà. È stata una scelta interessante e distingue la sua performance da quella di altri attori. L’energia e gli istinti creativi propri di Bryan hanno reso il personaggio ancora più complesso di come lo avevo immaginato”.
Cranston rende piena giustizia al personaggio dominando da mattatore la scena, come Trumbo aveva fatto nella vita, che stia nella vasca da bagno a scriver sceneggiature con l’eterna cicca in bocca o affronti John Wayne con sapiente ironia, che faccia il padre burbero e amorevole con i figli o l’amico leale su cui contare. Personaggio ricco di sfaccettature, un uomo che non ha mai abdicato alla responsabilità di essere tale, certo non è un caso che sia stato Spartacus, lo schiavo in lotta contro la respublica romana intera, a segnare la sua vittoria.
Era un uomo che cominciò tutto solo, come un animale, ciò nonostante il giorno in cui morì in migliaia sarebbero morti al suo posto. Non era un Dio, era un uomo semplice, uno schiavo, e lo amavo ” dice Varinia (Jean Simmons) a Crasso (Laurence Olivier).
Unico neo in questo film onesto, generoso e coinvolgente è aver dimenticato Kubrick, relegato in quell’unica battuta di Douglas: “Non te lo chiederei, ma non ho mai avuto un regista più rognoso di Stanley Kubrick ”. Ma quel che conta è che sia stato proprio un suo film a cambiare il corso della Storia in America.
E quando infine l’agognata statuetta arrivò nelle mani giuste a Trumbo non rimase che dire:
Quella inutile, piccola statuetta dorata è sporca del sangue dei miei amici”

Merry Christmas Mr. Trumbo, allora, non resta che augurargli anche noi, come fa dalla sua Rolls Otto Preminger.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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