giovedì, Dicembre 19, 2024

L’uomo Invisibile di Leigh Whannel: la recensione

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#a8329b” class=”” size=””]L’uomo invisibile. Sinossi: Cecilia scappa dal compagno violento e ripara da alcuni amici della sorella. La sua vita è scandita dal terrore fino a quando non viene a sapere che il compagno si è suicidato.  Poco convinta della notizia verrà colta di sorpresa da una serie di eventi fuori dall’ordinario. Il compagno, adesso invisibile, può nuovamente tormentarla[/perfectpullquote]

Ne L’uomo invisibile l’horror torna a essere meccanismo (congegno che mette in moto e allo stesso tempo è mosso) in cui la realtà sociale contingenta l’immaginario e l’immaginario realizza (accelera, porta a pienezza di senso) la realtà sociale; motore in cui la rappresentanza tanto importante per i teorici di genere non è legge a priori che soffoca la rappresentazione costringendone la forma, con forme di costrizione e regolamentazione, ma controparte contestuale attiva in un circolo di suggestioni. L’horror torna a mostrare, torna a vedere, come faceva alle sue origini, staccandosi dall’ordine ormai normativo e desolante della rappresentazione gotica, d’epoca, dimostrandosi non tanto museo di orrori imbalsamati o specchio-fotocopiatrice che non modifica l’immagine che ha davanti, ma vetrina di feroci animali in cattività, schermo, che compromette il riflesso, ne rivela l’illusoria sicurezza, lo deforma, lo attraversa, lo esplica. L’horror torna a vomitare realtà per farla digerire, ma solo perché “torna” alla vertiginosa vicinanza col contemporaneo, cercando l’angoscia in luoghi che appartengono alla vita quotidiana dell’immaginario e re-interpretando un elemento linguistico conosciuto – l’Uomo Invisibile Universal – depositandolo in un nuovo contesto.

Per intuizione di Leigh Whannel il misterioso individuo nascosto da bende e con occhiali da sole inventato da Wells diventa visionario imprenditore dell’ottica e stalker psicopatico, che dopo essere stato lasciato è intenzionato a rovinare la vita di Cecilia (Cee ma pronunciato come “see”, “vedere” interpretata da Elisabeth Moss) con il favore dell’invisibilità. Dopo montagne di immagini logorroiche, dopo tanta verbosità visiva, dopo tanto mostrare senza niente da dire, l’orrore è finalmente invisibile e torna a e essere questione scopica. Frutto di una rimozione e non di un’aggiunta o di una somma, sottrazione, improvviso movimento negativo capace di ruotare in teoria visiva tutta la tesi positiva, tutto il dato statistico della persecuzione e della violenza di genere, del rimosso sociale incarnato dalle vittime non ascoltate e non credute, anzi marginalizzate e tacciate di troppa immaginazione, di troppo vedere. Il problema della rappresentabilità del dramma sociale è risolto tramite l’irrappresentabile, tramite un’immagine che non si dà, che non è più informazione da conoscere e da assorbire con un sapere o con una conoscenza, un’immagine che non è più vedibile e che quindi rileva l’insufficienza dello sguardo, la fallibilità del vedere come conoscere.

I totali de L’Uomo invisibile – quadri in cui tutto è nel testo, quadri che costringono il mondo dentro all’aspect ratio – sono immagini che costringono il conoscere ad arrendersi. Non si vede nulla di reale, non c’è niente, solo forse un miracolo digitale, qualcosa che si muove senza nessi di causa-effetto, incausato, fuori dalle leggi della natura. Si può solo credere che stia succedendo qualcosa, si può solo immaginare che ci sia qualcuno che muove il coltello nella stanza: rimuovendo l’immagine e lasciando il vuoto, il vedere torna a essere credere, torna a essere atto, gesto di fede, sporgenza che si affaccia sul mondo per dargli un senso. L’incomunicabilità è risolta tramite la rimozione della comunicazione e la ricostruzione della fede (anche se questa tarderà ad arrivare).

Perché se l’orrore del reale è questo e l’angoscia è questa, cioè non sapere cosa ci sia di fronte a noi, non poter più contare sulla trasparenza di un’immagine (anche delle telecamere di sorveglianza) che è ingannabile, raggirabile, limitata, allora solo il credere può essere il luogo da cui l’umano torna a guardarsi.

Leonardo Strano
Leonardo Strano
Primo Classificato al Premio "Alberto Farassino, scrivere di Cinema", secondo al premio "Adelio Ferrero Cinema e Critica" Leonardo Strano scrive per indie-eye approfondimenti di Cinema e semiotica. Ha collaborato anche con Ondacinema, Point Blank, Taxidrivers, Filmidee, Il Cittadino di Monza e Brianza

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