Zéa Duprez, al centro di questo bel debutto nel lungometraggio di Romain Laguna, esprime tutta la potenza e la libertà senza compromessi dell’adolescenza. Nel Cinema francofono degli ultimi anni ci ha ricordato i personaggi di Léa Mysius e in particolare la promettente Noée Abita, recentemente vista in Genèse di Philippe Lesage.
La capacità di darsi e di entrare in simbiosi con l’ambiente rivela un talento naturale davvero raro; non è un caso che Laguna trasformi progressivamente il suo film da una delle tante elegie sull’età acerba, in un misterioso rito di passaggio capace di mettere in relazione la sola Duprez con quello che resta della natura selvaggia. Vero e proprio assolo, ma di gesti e stupefazione, “Meteorites” perde positivamente il centro per poi ritrovarlo nell’osservazione empirica dei fenomeni apparentemente minimi. Filmato in 4:3 da Aurélien Marra, già collaboratore di Laguna per i suoi tre cortometraggi, ruota intono ai luoghi dove il regista francese è cresciuto, raccogliendo intorno a se un guppo di Biterrois e Biterroises non professionisti. Da Béziers si sposta per alcuni dipartimenti dell’Occitania, spingendo ai margini gli ambienti della suburbia e aprendosi sempre di più alla vastità mutante del contesto naturale.
Nina, sedici anni e una madre persa nell’allucinazione di un mondo senza vincoli, lavora in un complesso museale costituito da un parco e da una sala-planetario; il percorso ricostruisce la genesi della vita sulla terra e accoglie le riproduzioni di alcuni dinosauri all’interno degli spazi naturali aperti al pubblico. Poprio qui incontrerà Morad (Bilal Agab), un diciannovenne di origini algerine, fratello della collega Djamila (Oumaima Lyamouri), totalmente assorbito dal contrasto tra città e provincia e attratto dalla vita di strada.
La caduta di un meteorite, filmata da Laguna tra rigore puntinista e mutevolezza dell’attimo, segna per Nina, osservatrice privilegiata dell’evento, la direzione del desiderio. Contro ogni evidenza, tutto il suo amore per Morad sarà illuminato dal bagliore di quella visione straordinaria.
Nina ha una voglia a lato dell’occhio destro, caratteristica che senza intaccarne la bellezza selvatica, accentua la continuità nel ciclo tra vita e morte, turbamento molto vicino alla “saldatura” della palpebra dell’Augustine di Alice Winocour. La rivolta del corpo è lo strumento attraverso cui Laguna entra in contatto con Nina. Il piede nudo che cerca di svegliare l’amico Alex (Nathan Le Graciet) assopito su una roccia in riva al fiume e ancora i piedi che accarezzano un cane, il contatto fisico con i cavalli nutriti dalla sua mano, una piccola rana catturata da un corso d’acqua, le corse a piedi nudi per non perdere l’autobus che ogni giorno la conduce sul luogo di lavoro, la sofferenza mentre assiste ad una delle corride con i toros della Camargue, il contatto necessario con la terra, l’acqua, la roccia.
Con la stessa necessità, la tentazione di appropriarsi degli oggetti altrui durante le feste e i contesti sociali che le stanno stretti, è animata da un’immediatezza istintiva oltre i confini della morale, totalmente al di fuori dal gran “carnevale delle differenze” capitalistiche.
Quando Morad scomparirà improvvisamente per tornare nel suo paese d’origine, Nina trasformerà la passione bruciante nell’immersione radicale dentro la natura e insieme a lei, l’esperienza sensoriale di un cinema che non si appoggia quasi mai sul predominio della parola, sostituita dai rumori, dal rantolo di animali invisibili e dal grido di Nina che fiera tra le fiere, segnerà la sua trasformazione come parte di un mondo creaturale complesso.
Dall’alto di un picco Nina osserva il cratere generato dello schianto del meteorite, è un punto di vista che chiarisce improvvisamente lo spirito del film di Laguna, proprio un momento prima che la ragazza possa toccare la metamorfosi della terra bruciata alla ricerca di un segno. Quel vuoto che ci attrae dal basso è un buco nero; totalmente in campo è paradossalmente l’essenza di tutto quello che lo schermo esclude, il desiderio di esser posseduti dalla totale perdita di ogni limite, fino all’assorbimento dell’occhio o del Se, nella fusione delle origini. Non resta che gettarsi o semplicemente attraversarlo.