C’è una sorta di indole gregaria che permea Minions, spin off/prequel della serie Cattivissimo Me (come già accaduto anche per Scrat de “L’era glaciale”, i Pinguini di “Madacascar” e il Gatto con gli stivali di “Shrek 2”), e che nel suo essere marcatamente subalterna per natura si fa paradossalmente protagonista incisiva e ironica. C’è una veste iconografica forte che invade il lungometraggio della Illumination Entertainment, divisione della Universal che si occupa di film d’animazione, e che pare slegarsi dalla trama stessa, vivendo di vita propria mentre scorrono le rocambolesche avventure di Stuart, Kevin e Bob.
Il vero valore aggiunto dei Minions di Pierre Coffin e Kyle Balda risiede dunque in primis nell’evidente, quantomai icastico, impatto visivo che questi esseri gialli riescono a portare sullo schermo, nel caos sregolato del loro idioma nonsense e nelle gag da slapstick comedy velate di humor all’inglese.
La potenza di una voce narrante (Geoffrey Rush nella versione originale e Alberto Angela in quella italiana) racconta l’anima del film, che si snoda idealmente in due tempi e che vive nella genesi dell’evoluzione della specie Minions, in una fusione di animazione tradizionale e CGI, incontrando T-Rex e faraoni, passando per il Conte Dracula e Napoleone, e nella catarsi di un “road trip” che porterà i tre personaggi principali a girovagare tra New York, Orlando e Londra alla ricerca di un cattivo da servire.
La robustezza semantica della pellicola risiede altresì nel suo approccio trasversale e diretto alla comicità stessa tra guizzi di malignità steampunk, la figura di Scarlet Sterminator, la criminale che sogna di rubare la corona della regina, e a quella del suo compagno scienziato Herb – doppiati nella versione originale rispettivamente da Sandra Bullock e Jon Hamm e nella versione italiana da Luciana Littizzetto e Fabio Fazio – sono indicativi in tal senso. Famiglie di rapinatori sui generis (Michael Keaton ed Allison Janney sono Walter e Madge Nelson; nella versione italiana il ruolo è affidato invece a Selvaggia Lucarelli e Riccardo Rossi) e marcato citazionismo con numerosi rimandi televisivi (il Gioco dell Coppie e Vita da Strega), storici, cinematografici (Stanley Kubrick, La spada nella roccia, Conan il Barbaro, Il mostro della laguna nera, Leatherface e il clown IT) e musicali (il musical Hair) disseminati all’interno del film.
L’esperanto linguistico soggiace in definitiva all’artificio visivo e all’esplosione della perfezione 3D, puntando alla semplicità distesa, forse a tratti banalmente stereotipata, priva di sottotesti nascosti e tenerezze recondite come in Cattivissimo Me. La controcultura – dagli Hippie ai Mods alla Swinging London, passando per Andy Wharol – si svuota del suo significato primordiale per divenire forma postoderma leggera e godibile, mentre ci si lascia trasportare dall’indipendenza anticonformista della colonna sonora in pieno stile Sixties, che spazia dai Doors a Jimi Hendrix, e ancora Beatles, Who, Kinks, The Rolling Stones e Donovan.