venerdì, Dicembre 27, 2024

Miss Sloane – Giochi di Potere: la recensione

John Madden entra dentro la lunga tradizione del lobbying americano e lo fa sfruttando un tema che divide da decenni la politica del paese, attraverso i rispettivi gruppi di pressione specializzati in materia fiscale e comunicazione.

Quello per cui lavora Miss Sloane (Jessica Chastain) ha il compito di rendere appetibili le pistole all’elettorato femminile; a spingere c’è una delle lobby più potenti legate al commercio delle armi da fuoco. È la tiepida ambiguità di un messaggio “adattabile” a non convincere Sloane e a farla passare dall’altra parte, alla guida di un team che rappresenta l’ala più progressista del paese, vicina alle posizioni di chi vuole un controllo maggiore sulle armi di fuoco.

Al posto dell’idealismo, le scelte della spregiudicata lobbista sono animate dalla logica e dalla necessità fisiologica di vincere, a qualsiasi costo, tanto da collocare le sue posizioni in una dimensione opaca dove la sincerità dell’intenzione etica viene sostituita da una conoscenza metodica di strategie ai limiti della legalità, utili per piegare la volontà dell’opinione pubblica.

In questa spietata descrizione di una funzione che anticipa e vanifica qualsiasi contenuto e senza spingersi verso la definizione dell’hacked democracy nell’era Trump e di quelle prassi che stanno cambiando i metodi di analisi e di condizionamento dell’elettorato attraverso la raccolta dati degli utenti presenti sui social network, per comprenderne preventivamente le scelte, John Madden cerca comunque di rappresentare un sistema completamente asservito alla fisiologia dei media, tanto da far suo il ritmo di una screwball dramedy, totalmente deprivata della forza situazionale.

C’è qualcosa delle ossessioni di Aaron Sorkin in questa velocità verbale, nel cinismo che caratterizza o che semplicemente definisce il biglietto da visita del personaggio più intelligente, in un continuo rovesciamento di intenzioni e mosse dove la trasparenza degli schermi, delle vetrate che separano gli uffici e della realtà attraverso i media, sostituisce la chiarezza di una rappresentazione esplicita al bisogno di verità. E proprio l’illusione di verità il perno attorno al quale ruotano tutte le scelte di Miss Sloane, da quelle pubbliche a quelle intime condivise con un giovane escort di professione.
Parte di un sistema totalmente corrotto, Miss Sloane rimane a metà tra i due gruppi di potere evidenziandone un territorio comune.

Non è un caso che Madden punti sulle esplosioni emotive di Miss Sloane, piccole cortocircuitazioni la cui origine diventa sempre più difficile e ambigua da stabilire, perché a metà tra emozione e rappresentazione, tanto da spingere il personaggio in una dimensione sempre più solitaria e isolata, in virtù di questa continua sostituzione tra pentimento e mascheramento, verità e menzogna.
Sulla superficialità di Madden non abbiamo alcun dubbio; nonostante le premesse e una Jessica Chastain sempre sull’orlo dell’esplosione, tragicamente riflessa con-tro se stessa, il dualismo grossolano del film non riesce a creare uno scambio semantico tra i due gruppi di lobbisti, tranne con alcune simmetrie piuttosto banali (quella tra Miss Sloane e il personaggio interpretato da Alison Pill, per esempio) che sembrano animate più dalla vendetta e dal risentimento che dall’acquisizione di un sistema comportamentale che ha sostituito qualsiasi questione morale da entrambe le parti. Tocca a Miss Sloane assorbire tutte le contraddizioni, quasi nei termini di una cristologia negativa.

Quando Rodolfo Schmidt (Mark Strong) indirizza a Miss Sloane e allo spettatore un bisogno vitale di umanità, Madden sembra ingenuamente alla ricerca di una breccia nel sistema, moltiplicando in realtà la stessa attitudine alla delegittimazione reciproca attraverso un personaggio che deve per forza assumere posizione e ruolo positivi.
Ferirsi è in realtà l’unica possibilità di sopravvivenza, lo sa bene Miss Sloane che può servirsi di una scialuppa di salvataggio in extremis che sembra mutuata dal plot di un romanzo di John Grisham; l’unica verità è quella aumentata e irrealistica del complotto. 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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