Gauthier Valance è un attore che ha raggiunto la fama grazie ad una fiction televisiva. Volendo mettere maggiormente in risalto le sue qualità recitative decide di rintracciare Serge Tanneur, un vecchio amico con cui aveva condiviso esperienze cinematografiche in passato, e che ora vive da eremita in una villetta dell’Île de Rè. Gauthier propone a Serge di mettere in scena l’opera teatrale Il Misantropo di Molière. Inizialmente riluttante, Serge finisce per acconsentire a patto di poter alternare i ruoli di Alceste e Filinto durante il tour. Nei giorni dedicati alle prove i due attori faranno la conoscenza di Francesca, che, pur portando una ventata di ottimismo nel disfattistico Serge, diventerà ben presto causa del conflitto tra i due amici.
Le opere di Molière hanno un potenziale analitico tale da aver spinto spesso, nella storia, a dispute sulla necessità di rappresentarle fedelmente o di riproporle in eventuali rivisitazioni. Un aneddoto particolarmente efficace è quello connesso alla querelle tra gli attori Mounet-Sully e Coquelin in occasione della messa in scena de Il Misantropo, a cui accenna anche Proust in Alla ricerca del tempo perduto, in una divagazione sull’arte della guerra, servendosene come conferma analogica sulla questione secondo cui una manovra di guerra può essere interpretata oltre le apparenze e a prescindere dalle intenzioni di chi l’ha ideata: <<Anche se gli ordini dati dal capo contrastano con questa o quella concezione, i critici avranno sempre modo di dire, come Mounet-Sully a Coquelin il quale gli assicurava che il Misantropo non era il testo triste, drammatico che lui voleva recitare (perché Molière, per testimonianza dei contemporanei, ne dava un’interpretazione comica e, recitandolo, faceva ridere): “Ebbene, vuol dire che Molière si sbagliava”>> (Milano, Mondadori 1993 pp. 680 – 81).
Non si può far a meno di pensare che gli autori di Molière in bicicletta conoscessero questo aneddoto e che ne abbiano preso spunto per la costruzione della racconto. Un racconto che ha proprio la pretesa di riflettere, più che sulla funzione del teatro, sul rapporto dell’uomo con la storia. Perché ciò a cui assistiamo è sì un work in progress per una pièce teatrale, ma ancor di più è la penetrazione dell’opera di finzione nella realtà degli attori, assumendo così una funzione specchiante, in un rapporto meta-testuale di grande efficacia.
Gauthier e Serge sono i postumi della dissacrazione del teatro e dei suoi attori, o per meglio dire, le due conseguenze prospettabili. Gauthier, dopo le esperienze teatrali e cinematografiche approda alla televisione, dove acquista grande fame grazie ad un personaggio stereotipato che di certo non necessita di grandi abilità recitative, mentre Serge, disilluso ed insofferente verso la nuova e degradante strada presa dagli attori teatrali, dai media che li incentivano e dalle tecnologie invadenti, ha scelto la vita riservata e distaccata dalla realtà in continua evoluzione. Due personaggi estremamente differenti quindi, ma che, nel corso del film, finiranno col compenetrarsi a vicenda, lasciando percepire un’angoscia di fondo che li accomuna e li rende a loro modo entrambi misantropi.
L’ Île de Rè appare come un’isola deserta, un micro mondo, con un suo microclima (come spesso diranno i suoi cittadini), distaccato dal resto del mondo, ma (come osserverà tristemente Serge) con ancora quel ponticello, che non gli permette il distacco assoluto. Ed è proprio il varco di quel ponte da parte di Gauthier che farà riemergere in Serge quei rimpianti, ambizioni e passioni che si era lasciato alle spalle. Il suo è un continuo tentativo di distacco da un mondo che non capisce, che evolve e cambia la storia. <<Non mi piace essere collegato, voglio essere indipendente io>> dirà comicamente ma significativamente ad un idraulico che gli suggerisce di eliminare la fossa settica dal giardino e collegarsi con l’impianto generale. Egli preferisce la puzza all’adesione, e per esteso, il malessere all’accettazione del cambiamento. (continua nella pagina successiva…)