Preceduto da “The Blue Umbrella“, il corto diretto con tecnica foto “realistica” da Saschka Unseld, animatore nato in germania e acquisito dallo studio nel 2008, Monsters University è il primo lungometraggio d’animazione diretto e sceneggiato da Dan Scanlon e prodotto, oltre che da John Lasseter, da uno dei migliori autori Pixar, Pete Docter, regista di Up e dell’imminente e sulla carta interessantissimo “Inside out“, previsto per il 2015 e di cui in questi giorni si è parlato al D23 della Disney. Docter è ovviamente anche il creatore di Monster & Co, il film che ha dato origine al franchisee in questione.
Monster University è il prequel del film diretto da Docter dodici anni fa, e ritrova Mike Wazowski in procinto di entrare nel mondo universitario per affrontare gli studi che lo faranno diventare uno “spaventatore” di professione; il mostro monoculare qui incontrerà alcuni dei suoi futuri, nel bene e nel male, compagni di avventure, tra cui l’infido e camaleontico Randall Boggs e naturalmente il gigantesco James P. “Sulley” Sullivan, “animato” in entrambi i film originali dalla voce di John Goodman.
Mentre Sulley potendo contare su un lignaggio di alto livello, con un padre annoverato tra i più grandi spaventatori di tutti i tempi, affronta il campus con anarchica insofferenza sicuro delle sue qualità ereditarie, Mike è uno studente zelante che ottiene risultati eccellenti sul piano teorico, ma che, secondo il parere dell’inquietante Miss Hardscrabble, rettore dell’università, ha un piccolo grande problema: non spaventa nessuno.
Per evitare il rischio di un’espulsione dalla facoltà, l’unica strada è mettere su una squadra e partecipare alle annuali “spaventiadi”, percorso agonistico che attraverso una serie di competizioni valuterà il livello di “spaventosità” dei partecipanti. Mike mette insieme un manipolo di mostri nerd e sgangherati, attraverso una confraternita chiamata Oozma Kappa fondata da Squishy, un ciccione con nove occhi, tallonato da un’irresistibile mamma oversize che a un certo punto vedremo ascoltare “Black metal” dentro l’abitacolo della sua utilitaria. In questo contesto, Dan Scanlon sviluppa una sceneggiatura che mette al centro una serie di rutilanti gag a catena, innestate sull’idea che l’astuzia, il controllo delle proprie facoltà e soprattutto, nella fenomenale parte conclusiva, ciò che non si vede, possa contribuire ad ottenere risultati sorprendenti rispetto ad un approccio muscolare al proprio ruolo di spaventatore.
Come nella migliore commedia Americana classica (viene in mente l’anarchia di Preston Sturges), c’è una mutazione progressiva che parte dalle qualità pre-formali della gag caricaturale, per arrivare alla formazione di una serie di personaggi con una psicologia e un bagaglio ben delineato, il tutto passando attraverso la smorfia, il movimento, l’azione.
È tipico delle migliori produzioni Pixar, il ricorso ad un enciclopedia storico-visiva non solo legata alla tradizione del cinema d’animazione Americano, tanto che Monster University ha la forza incendiaria e funzionale della “screwball comedy”, la forma emozionale del romanzo di formazione, quella epica dei film di ambientazione sportiva e tutti gli ingredienti dei più noti “campus movie”, non è un caso che il lavoro di Randy Newman sulle musiche, a questo giro di impatto meno ruffiano e molto più soul, appaia come un omaggio esplicito alla title track di Animal House cantata da Stephen Bishop e a tutto il lavoro di Bernstein per il noto film di John Landis.
Monster University sembra prendere a piene mani dall’ipertrofia storico-cinematografica di Toy Story 3D senza ricorrere allo spleen crepuscolare del film di Lee Unkrich e da alcuni dei momenti di mutazione più alta, alla Chuck Jones tanto per intendersi, che mettono il “senso” e il “frame” sottosopra nei migliori film della costellazione Pixar; l’incedere è meno coerente e più episodico, ma in questo senso assolve la sua funzione, quella di una palla di cannone sparata a tutta velocità.