La Piemme ha appena cominciato a pubblicare la quadrilogia dedicata a Charlie Mortdecai, scritta da Kyril Bonfiglioli tra gli anni settanta e il 1985, anno della sua morte, sincronizzandosi sull’uscita del film di David Koepp ispirato al mercante d’arte senza scrupoli nato dalla fantasia dello scrittore satirico inglese, con il rischio di rendere un cattivo servizio a tutta l’operazione editoriale, perché dei giochi verbali inventati da Bonfiglioli rimangono poche tracce, mentre il tentativo di mettere insieme spy movie e commedia, senza scomodare illustri predecessori cine-televisivi dagli anni ’60 fino a tempi più recenti, fallisce miseramente nel restituire una britishness tutta tic e convenzioni, con la gag che non prende mai ritmo e velocità in un cinema fatto principalmente di corpi, oggetti e meccanismi causali, tanto che tutti gli interpreti, a cominciare da Depp / Paltrow / McGregor, sembrano figurine ritagliate un po’ come i nuovi mustacchi di cui Mortdecai va tanto fiero.
E a proposito di baffi, l’unico gioco che funziona e sul quale Koepp sembra fissarsi sin troppo a lungo tanto da ripeterlo all’infinito, è proprio il confronto amoroso tra Mortdecai (Depp) e la sua signora (la Paltrow) che avvicinata la bocca al marito, si ritrae in preda ad un conato, come se avesse appena baciato “una vagina”.
Il resto del film esaspera la dinamica del viaggio intercontinentale, con tanto di rappresentazione grafica animata aggiornata alla tecnologia di modellazione 3D, trasformandola nell’unico vero collante narrativo, utile per offrire una parvenza di unità ad uno schema debolissimo fatto di intrecci, truffe e segreti ben custoditi senza che questi scatenino la forza distruttiva del “cartoon” o della commedia demenziale. Al contrario, tutto è ordinato e asettico, basta pensare al rapporto tra Mortdecai e il maggiordomo/guardia del corpo Jock (Paul Bettany) modellato su quello tra Clouseau e l’asiatico Cato, ma incapace di raggiungere la forza anarchica e distruttiva sprigionata dal duo battezzato da Blake Edwards, in grado di ridiscutere e riconfigurare la realtà del set.
Eppure Koepp, ottimo sceneggiatore di lungo corso, ha scritto anche per il Mission Impossible DePalmiano, film che dilatava e comprimeva lo spazio dello spy movie in una dimensione ipervisiva ed esasperata; poco a suo agio con la commedia, lo sceneggiatore regista statunitense realizza un piccolo film senz’anima e che non riesce ad uscire dal cortocircuito di alcuni cliché.