giovedì, Dicembre 19, 2024

N-Capace di Eleonora Danco: la recensione

Eleonora Danco si rifà ad una grammatica che rimanda al progetto Cinico TV di Ciprì/Maresco, in questo film ironico, surreale ed estremamente viscerale, in cui trapela e si impone con forza la sua esperienza nel mondo del teatro. Le provocazioni, le esortazioni e il rapporto che instaura con gli attori inconsapevoli, all’oscuro del conclusivo disegno organico autoriale della regista, sembrano una sorta di training teatrale. Perché queste presenze che si scontrano con l’obiettivo non sono solo “teste parlanti” ma corpi pulsanti, o solo invadenti, poco più che fantocci nelle mani impietose e dissacranti della Danco. Riempiono lo spazio ma non lo sovrastano, sono soprammobili, materia integrata all’ambiente che abitano, componente endogena del degrado suburbano e detriti trascinati dalla corrente implacabile del fiume del cambiamento. Sono schiavi del loro tempo e dei dogmi sociali. Generazioni a confronto si alternano nel racconto, in una raccolta di testimonianze disparata, discordanti, ma allo stesso tempo così simili, così ferocemente e spietatamente incastrate in un sistema logorante.

È un corto circuito tra passato e presente. Un passato e un presente sia dell’Uomo che del singolo individuo. Il passato, che nella Danco affiora e prende corpo dalla dimensione onirica (vaga per gli spazi del suo passato in un lettone candido e in pigiama), si scontra con la realtà del presente, con i cambiamenti, i nuovi ideali e le cose rimaste immutate.

In immagini fisse, quadri surreali, presenta i suoi personaggi e li spoglia (idealmente) davanti al suo occhio curioso, indagatore. La porzione di realtà in quadro e la presenza/assenza fuori quadro si scontrano, mettendo a nudo il processo di ricerca, la composizione e la disposizione dei corpi al fine di una costruzione finzionale di senso, di una geografia dei corpi e degli spazi.

Vecchie donne giunoniche radicate alla terra, seppellite da terra e foglie secche, collidono con il corpo giovane e sensuale della Danco seppellita in una vasca da bagno da un mare di biscotti. Immagini speculari che mostrano le due facce di una stessa umanità. Generazioni che finiranno sol somigliarsi, inevitabilmente. “Tu lo sai che diventerai come tuo padre?!” dice la voce fuori quadro della regista, mentre il volto del giovane ragazzo resta impassibile, dallo sguardo vacuo tra l’ebetismo e il nichilismo.

Un nichilismo che prorompe dalla voce profetica di un contadino che afferma “Dio è morto, i Santi sono morti, niente esiste”. Epicizzazione di quel corpo cosciente che afferma le sue verità con la risolutezza di un profeta, ma che allo stesso tempo si alterna all’immagine e alla voce tenera ed elegiaca di una saggia e candida vecchietta che sembra avere tutte le risposte.
E dove sono queste risposte? Cosa resta della ricerca febbrile della Danco tra i meandri della sua coscienza e la realtà di cui fa parte? Forse la risposta è più pessimistica di quanto sembra, i perché restano sospesi e non trovano risposta per l’eccessivo e difforme materiale raccolto, ma la nota ironica e il peso della ricerca si impongono e restano allo spettatore. Perché forse il senso sta proprio nella ricerca, e non hanno importanza le risposte.

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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