Nebraska è il nuovo film del premio oscar Alexander Payne (Sideways — in viaggio con Jack, Paradiso Amaro) in uscita nelle sale Italiane il prossimo 16 gennaio con distribuzione Lucky Red; interpretato da Bruce Dern, premio come Miglior attore protagonista all’ultimo festival di Cannes dove il film era presente in concorso, racconta la storia di Woody, un uomo anziano, etilista e burbero interpretato da Bruce Dern, che fugge più volte di casa alla volta del Nebraska, dove lo aspetterebbe un supposto premio vinto alla lotteria grazie ad un concorso approntato dalla Mega Sweepstakes Marketing. I familiari, preoccupati per la situazione, gli affiancheranno il figlio Dave (Will Forte), deciso ad assecondare le follie del padre e ad accompagnarlo in questo assurdo viaggio. Scritto da Bob Nelson, Nebraska è girato in un bianco e nero nostalgico ed è un vero e proprio road movie dei sentimenti in sintonia con il cinema di Alexander Payne, il cui sguardo è da sempre rivolto verso il recupero di un passato irrimediabilmente perduto. Oltre a Bruce Dern, Payne ingaggia per il film un altro veterano del cinema degli anni ’70, il grande Stacy Keach (Città Amara, I duellanti, La nona configurazione) nella parte di Ed Pegram, un vecchio amico di Woody, diventato la sua peggiore pena.
Alexander Payne, durante la conferenza stampa a Cannes 66 ha raccontato il motivo che lo ha spinto a realizzare Nebraska in bianco e nero: “Sembrava la via più giusta per il film, è una forma bellissima e ho sempre voluto fare un film in bianco e nero. D’altronde ha lasciato il nostro cinema per ragioni commerciali, non certo per motivi artistici, per questa storia modesta e austera il bianco e nero era perfetto“.
Riguardo al tono agrodolce e malinconico che caratterizza le sue opere, mentre spiegava di aver ricevuto lo script nove anni fa, ha detto di esser stato “attratto dall’humour e dalla malinconia della sceneggiatura, mi piace questo stile perché è come la vita. Potrei dire in modo pretenzioso, che Nebraska è un film sull’era deprimente che stiamo vivendo“.
Bruce Dern ha parlato in relazione al lavoro con Payne e altri registi leggendari con cui ha collaborato: “Quando ho letto lo script, sapevo che dovevo interpretare il ruolo ad ogni costo e aspettare nove anni è stato “malinconico” – ha asserito Dern in tono scherzoso – “Ho lavorato con grandi registi e tra questi ho conosciuto sei geni assoluti: Elia Kazan, Alfred Hitchcock, Douglous Trumbull, Francis Ford Coppola, Quentin Tarantino e Alexander Payne” – ha continuato l’attore – “ciò che serve è la volontà di correre dei rischi, Kazan lo faceva così come Payne. Alexander ti spinge al limite e ti pone di fronte a scelte rischiose; quest’uomo arriva fino in fondo a quello che sei“.
Nei film di Alexander Payne la musica ha un ruolo fondamentale, e riguardo a questo il regista americano ha raccontato di aver avuto la fortuna di lavorare con un grande music editor come Richard Ford “Lui aveva la sensazione che le canzoni del Tin Hat Trio di Mark Orton potessero essere adatte al film, almeno come musica temporanea. È andata così bene che abbiamo messo quelle canzoni nel film definitivo e chiesto a Orton di collaborare“.
Sul metodo di lavoro di Alexander Payne, Bruce Dern ha le idee chiare: “C’è differenza tra chiedere ad un attore di fare qualcosa e dire ad un attore di fare qualcosa. Alexander prima lo chiede perché è estremamente gentile, ma tu sai che ti sta dicendo di farlo. Lui prende quello che vede da ogni prova, e ti chiede di svilupparlo mentre si lavora“.
E proprio riguardo a questo, lo stesso Payne ha tenuto a precisare “Con Nicholson e Dern abbiamo lo stesso modo di lavorare. Molte settimane prima di girare, usciamo e parliamo del film, di modo che quando giriamo il lavoro può semplicemente fluire“.
Anche Angela McEwan ha riservato belle parole per il regista: “Payne dirige senza farti accorgere che ti sta dirigendo, lo fa in un modo che i suoi suggerimenti sembrino tue idee. Offre una bella sensazione di sicurezza“.
Per June Squibb è la seconda volta con Payne, la sua prima collaborazione risale al 2002 con About Schmidt: “è difficile descrivere come si forma la relazione tra un attore e un regista” Ha detto l’attrice americana “Il nostro è un rapporto molto libero, dove le cose non sono affatto impostate“.
Will Forte invece si è dichiarato intimidito dal suo ruolo: “Il progetto era un po’ fuori dalla mia comfort zone, perché ho sempre fatto commedie, quindi pensavo di non poter fare un film così, con questi attori e con un regista di questo calibro“.
Per Alexander Payne il centro del film è ovviamente il rapporto padre-figlio perchè: “Il figlio vuole offrire al suo anziano padre un momento di dignità. Questa è una questione a cui penso spesso perché i miei genitori stanno invecchiando e vorrei che lo facessero con assoluta dignità. La vecchiaia ci può sminuire. Dobbiamo tenere duro“.