Ogni creatura umana è composta in modo da essere per tutte le altre un profondo segreto e un profondo mistero (C.Dickens, Le due città)
Enrico Fermi ed Ettore Majorana scomparvero da Via Panisperna nel 1938.
Il signorile palazzo umbertino affacciato sulla tranquilla strada che sale parallela a Via Nazionale, angolo di Roma in cui ancora oggi si respira un’aria d’altri tempi, fu sconvolto, “distrutto da forze e circostanze completamente estranee al nostro campo d’azione ”, disse Edoardo Manni che accompagnò Fermi alla stazione Termini, da dove lo scienziato partì alla volta degli Stati Uniti per non tornare più in Italia.
Aveva appena ricevuto il Nobel a Stoccolma e lo stesso giorno il ministro per l’educazione nazionale, Giuseppe Bottai, decretava Majorana “dimissionario dall’impiego [n.d.r.presso l’Università] per essersi allontanato per più di dieci giorni senza giustificato motivo”.
Era il 6 dicembre dell’anno XVIII dell’era fascista, e dello scienziato non c’era più traccia da ben otto mesi e mezzo.
Il “Papa” e il “Grande Inquisitore” della fisica italiana scomparvero insieme, mentre il Paese toccava il suo livello più basso di abiezione prima dello scoppio della guerra. Le leggi razziali cominciarono il loro corso proprio quell’anno, e benchè Fermi e Majorana non ne fossero direttamente coinvolti, è innegabile che l’esodo di cervelli dall’Europa dei totalitarismi finisse per comprendere anche loro.
Ma se il primo trovò nel Nuovo Mondo terreno fertile per il suo genio e fu riconosciuto come uno dei più importanti fisici del mondo, di Majorana non si seppe più nulla.
Oltre il mondo della Fisica, al di là delle strettoie della Storia in cui una comunità scientifica si arena perdendo il suo slancio, il destino di Majorana fu altro e investì la sua storia di uomo oltre che di scienziato.
Egidio Eronico costruisce intorno a lui un puzzle di forte presa, fonde gli stilemi del documentario d’inchiesta alle suggestioni di un biopic ricco di rimandi alla Storia, tratteggia a tinte piene personalità all’incrocio di eventi formidabili per l’Italia e per il mondo intero, vite di scienziati che segnarono un’epoca e aprirono la strada al futuro, ma furono anche uomini fragili, con le loro cadute e i loro stanchi umori.
Majorana scomparve la sera del 25 marzo 1938.
La ridda delle ipotesi è stata a dir poco fantasiosa ed ha continuato a lungo ad arricchirsi anche di stravaganza. Ma come sempre, un mistero mai risolto fa del soggetto un personaggio leggendario e tale Majorana è destinato a restare, perché “ le leggende si trasformano in realtà e si finisce per essere ciò che si diventa, uno straniero”.
E uno straniero fu questo genio matematico che ci guarda serio dalle foto d’epoca che osserviamo con l’interesse e il rispetto che sempre nascono dal fascino dell’intelligenza.
Foto e filmati di repertorio ricostruiscono storia pubblica e privata, tecniche di animazione in digitale soccorrono là dove l’immaginazione deve farsi largo in mancanza d’altro, scienziati, storici, umanisti parlano di lui avanzando letture ad ampio raggio o semplicemente illuminando tratti della sua figura, mentre una voce esterna fa da guida addentrandosi un po’ alla volta nel mistero dell’uomo.
Dalla nascita alla misteriosa scomparsa, lo sguardo del regista spazia con attenzione minuziosa, la ricostruzione dei suoi trentadue anni è totale e sul tempo dell’assenza lo sviluppo prende a tratti i toni del giallo, a tratti le forme del racconto morale.
Tante sono le voci in campo, le ipotesi accreditate e quelle smontate pezzo per pezzo, torna la bellissima animazione carica di ombre nel finale e il mare che aveva aperto il racconto lo chiude portando nelle sue profondità il mistero di quest’uomo.
Notizie biografiche raccontano di un bambino prodigio nato a Catania nel 1906 da famiglia della buona borghesia colta. A quattro anni eccelle nel calcolo aritmetico, a sette è campione di scacchi, studi di alto livello, spesso segnati da contrasti con insegnanti decisamente inferiori a lui, lo portano fino a Via Panisperna, il regno di Enrico Fermi, il cosiddetto “Papa” circondato dai suoi “ragazzi”, piccolo stuolo di ricercatori, scienziati in divenire assolutamente devoti al loro Maestro.
Il rapporto fra Majorana e Fermi fu speciale, era chiaro che non poteva essere di maestro e allievo, scienziati entrambi magnifici ma profondamente diversi, dovettero misurarsi da pari a pari.
“ Se Majorana non vuol farsi trovare non si farà mai trovare” fu la frase di Fermi dopo la sua scomparsa. Aveva capito profondamente quel giovane, presenza fondamentale per l’Istituto. Il suo grado di elaborazione teorica delle ricerche andava molto oltre lo standard degli altri, ma si sentiva la sua estraneità al gruppo, la sua scarsa condivisione di un’atmosfera comune.
Il rapporto con Fermi non fu facile, erano due giganti e, afferma chi si è occupato di loro: “ non dev’essere stato facile per l’uno, il Papa, avere un allievo come Majorana. Si rischia l’umiliazione ogni volta che s’inizia a fare una dimostrazione alla lavagna. Fermi ha avuto paura di questa rivalità, ma al contempo ha fatto in modo che a Majorana fossero riconosciuti tutti i suoi meriti”.
Majorana non fu uno dei “ragazzi di via Panisperna” nel senso pieno del termine, il suo fu un genio autonomo incapace di mescolarsi ad altri e porsi come loro con totale deferenza davanti ad un maestro. E Fermi, il maestro, lo capì.
Mente senza confini, nella solitudine trovò scampo alla mediocrità che spesso lo circondava, e andare a Lipsia a ventuno anni per studiare le ultime ricerche della teoria di Heisenberg, uno dei fondatori della meccanica quantistica, fu il suo volo verso l’unico mondo possibile in cui vivere.
I migliori fisici europei erano allora raccolti in Germania, nonostante Hitler, gli studi teorici erano avanzatissimi a fronte dell’arretratezza dell’Italia, e Heisenberg, di cui Majorana integrò le teorie, gli riconobbe il primato e la grandezza.
Sono di Lipsia le uniche foto sorridenti di questo carattere spigoloso e introverso. Inserito a pieno titolo in quella comunità scientifica, trovò la sua misura e le pubblicazioni sulla teoria dei nuclei ne fecero una stella di prima grandezza.
Il ritorno in Italia dopo due anni, nell’agosto del 1933, fu inspiegabile, ma certo segnò l’inizio della sua lenta e inesorabile caduta.
Rientrato nell’orbita di Fermi in Via Panisperna, il suo disagio cominciò a segnarlo nel profondo..
Freddo, lineare, semplice e metodico Fermi, poliedrico outsider, fuori controllo, autonomo e individualista Majorana, fu inevitabile per quest’ultimo perdere la partita.
Majorana spaziava a tutto tondo nel mondo della scienza e dell’arte, la musica e la letteratura (Shakespeare e Pirandello in primis) erano il suo pane quotidiano, uno “sportivo dell’intelletto” è stato definito. Per Fermi esisteva solo la fisica, musica, letteratura e filosofia erano mondi del tutto alieni, soprattutto la filosofia verso cui, si ricorda, “ lui e il suo gruppo nutrivano il più profondo disprezzo”.
Di fronte ad un dislivello culturale così profondo non c’erano margini d’intesa, e merito di Eronico è aver ricondotto il giudizio sul piano della correttezza critica, cancellando con decisione tutte le false opinioni sorte da una fuga dal mondo che addensò giudizi non sempre benevoli e alimentò ingiusti fraintendimenti.
“Dicono che fosse un visionario, un eccentrico, un timido, sempre poco propenso alle chiacchiere”, questa è la vulgata buona per chi si rifiuta di capire, ma in Majorana non agiva una personalità morbosa, era uno studioso di grande pregio pienamente consapevole di sé che aspirava, com’è normale che accada, a giusti e doverosi riconoscimenti che non arrivarono.
La testimonianza di Roberto Finzi, autore di Ettore Majorana, un’indagine storica, è centrale per una ricostruzione esatta della sua figura.
Carattere orgoglioso, fin da piccolo fuori dal coro, visse un isolamento sempre più accentuato da cui scaturì l’assoluta incomunicabilità con il mondo che lo circondava.
Ebbe sempre pieno controllo di sé, della sua intelligenza e delle sue conquiste scientifiche, a soli 22 anni non ebbe timore di presentare le sue conclusioni ad un pubblico di grandi scienziati, e dunque il canone costruito intorno a lui da tutti, famiglia compresa, non regge ad uno sguardo attento e non viziato da pregiudizi.
Dietro il caso Majorana c’è molto più di una storia di solitudine e difficoltà. Con la sua stessa presenza, con la sua potente riflessione critica, Majorana mise in discussione l’intera strada percorsa dal gruppo di Via Panisperna. In buona sostanza, fece capire che erano su un terreno sbagliato.
Le immagini del fungo atomico che sale allargandosi lento nel cielo è quanto di più eloquente possa bastare per dire che aveva ragione.
E allora fu diffidenza, quella degli altri nei suoi riguardi.
Si cominciò a non citarlo in pubblicazioni di ricerche a cui aveva contribuito in modo determinante e di cui Heisenberg gli riconobbe il primato, Fermi non era né cinico né cattivo, affermano quelli che lo conobbero, ma il giovane scienziato fu tenuto ai margini. Ci fu, in definitiva, quella conventio ad excludendum che spesso scatta contro figure scomode, quelle che non si integrano non per superbia o altezzosa considerazione del mondo, ma solo perché vivono e respirano ad altre altezze.
Nel finale Eronico si traveste da segugio della storia, scende nei sotterranei dell’Istituto di Fisica presso La Sapienza di Roma, vuol smantellare del tutto il quadro edulcorato offerto per anni da Via Panisperna, vuol sapere dalle carte lì raccolte la vera storia di Majorana.
Dai faldoni spunta una lettera che documenta il clima teso del mitico laboratorio. Anomalie nella raccolta dei documenti, resoconti mancanti dell’inchiesta sulla sua scomparsa, persone, voci, ipotesi si affollano a confondere ancora di più la realtà.
Da Mussolini in giù tutti furono in qualche modo coinvolti e interessati alla ricerca, non tutti però motivati dalla stessa volontà di far luce, spesso fu solo una partecipazione di facciata, altrettanto spesso la scomparsa fu frettolosamente accettata come una triste fatalità.
Nulla si seppe e dopo un anno il fascicolo fu chiuso.
Majorana aveva deciso per sé e tanto bastava quando la sera del 25 marzo 1938, sul postale diretto dal porto di Napoli a Palermo, si avviò in silenzio verso il suo esilio.
Tutto quello che è stato detto dopo è vuoto girare intorno al nulla.
Nessuno mi troverà, nessuno l’ha trovato, e dello stuolo di esegeti val forse la pena di ricordare solo Sciascia che con La scomparsa di Majorana ci ha insegnato a “ guardare nelle ragioni dell’uomo prima di quelle del ruolo che quell’uomo esercita ”.