lunedì, Dicembre 23, 2024

Nessuno siamo perfetti di Giancarlo Soldi: la recensione

Una brevissima cronologia per orientarsi. Nell’autunno del 1986, lo stesso autunno di Watchmen, lo stesso anno di The Dark Knight Returns, la casa editrice italiana Daim Press pubblica il primo numero di Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo. Di lì a quattro anni la serie edita da Sergio Bonelli fa il botto e il suo creatore, Tiziano Sclavi, riceve persino gli elogi di Umberto Eco. Sul finire degli anni Novanta Sclavi dirada le sceneggiature per poi cessare definitivamente di scrivere nel 2006. Negli ultimi anni ha concesso rare interviste, un paio reperibili su YouTube.

Autore prima del Corriere dei Piccoli, poi di serie bonelliane come Mister No e Zagor, romanziere lunare (Film, Tre, Le etichette delle camicie, Non è successo niente…), persona schiva, paurosa e alcolista, maledetto romantico e genio della macchina da scrivere, Sclavi è stato per anni una sorta di uomo invisibile, rappresentato da pochissime vignette – celebre quella di Alfredo Castelli che lo ritrae come un omino bufo, armadio umano con la testa da mostro di Frankenstein, un albo a fumetti sotto braccio.

Il regista Giancarlo Soldi è una vecchia conoscenza del bardo di Broni. Nel 1992 Sclavi ha scritto la sceneggiatura di Nero., strampalato ufo polanskiano-meneghino con Castellitto nel ruolo principale. Nel 2012, Soldi ha diretto un primo documentario celebrativo dell’universo bonelliano, “Come Tex nessuno mai”. Nessuno siamo perfetti ha l’ambizione di consegnare al mondo Tiziano Sclavi in maniera più strutturata rispetto alle strazianti, svogliate interviste in golfino e pantofole di cui sopra.

Lo fa montando gli esiti di due interviste. Una, in bianco e nero sgranato, realizzata qualche anno fa (forse sette-otto); una più recente. La differenza tra le due è che la seconda è più trattenuta, mentre la prima offre autentici squarci di disagio e sofferenza. Completano l’operazione numerose animazioni smudge (cetacei volanti sul cielo milanese, interni scrostati con spiriti a mezz’aria) e i contributi di alcune persone che conoscono bene il nostro: il già citato Castelli (autore di Martin Mystère), i disegnatori Giampiero Casertano e Lorenzo Mattotti, l’ex curatore di Dylan Mauro Marcheselli e il neocuratore Roberto Recchioni, fino all’autrice per ragazzi Bianca Pitzorno.

Nessuno siamo perfetti funziona per osmosi rispetto al proprio soggetto. Tanto Sclavi è fragile, depresso, oscillante tra la ritirata kafkiana dalle grinfie del Mondo e un invito a tuffarsi nel gorgo dell’interiorità, quanto questo piccolo film risulta ondivago, claudicante, a tratti didascalico e inutile, altrove una (sana) pugnalata in pieno petto. Il didascalismo riguarda soprattutto il tema fumettistico, al quale aggiunge ben poco – forse solo la preziosa testimonianza di Mattotti, che riporta alla memoria la prima apparizione tuttora inedita di Dylan Dog, fantasma del West che scruta le tribù e si lascia risorgere da un dio bambino. Per inciso, negli anni Settanta Sclavi amava battezzare «Dylan Dog» tutti i personaggi nuovi che gli passavano per la testa. Le pugnalate arrivano invece, spesso in bianco e nero, quando Sclavi, perennemente affondato in poltrona, accarezza uno dei suoi animali domestici o ci manda tutti a fare in culo: «Io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite».

Geniale nel suo abbandono umorale della logica appannaggio del sentimento (come ben sottolinea Recchioni), sapientemente in bilico tra Neil Simon e Dario Argento, l’uomo Tiziano Sclavi è di fatto inscindibile dal personaggio Dylan Dog e dalle narrazioni dylandoghiane, che Eco definì «sgangherate e sgangherabili» come tutti i capolavori, vale a dire sublimi nella loro precarietà e capaci di funzionare anche a pezzi, estrapolate dal contesto, proposte come schegge impazzite, fumi d’alcool e di china, visioni a tunnel, ossessioni psicotiche e magnifiche.

Detto questo, il documentario-intervista di Soldi non ha l’aria del film definitivo su Sclavi e sul suo alter ego avente le fattezze di Rupert Everett. Malgrado la fotografia fascinosa di Luca Bigazzi e le belle musiche di Ezio Bosso, i settantuno minuti del film risultano eccessivi, alcune testimonianze superflue o persino imbarazzanti. Una per tutte: quella di Argento.

In uno dei momenti più intensi, Sclavi cita “Totò, Eva e il pennello proibito” (1959) di Steno, affermando che «Tutti siamo capaci a creare, è copiare che è difficile». Alcuni degli albi più indimenticabili di Dylan Dog nacquero via affastellamento di citazioni, inquadrature, situazioni filmiche e libresche. Tiziano guardava i film con un bloc notes sul bracciolo, segnandosi le cose. Poi non ce l’ha più fatta. A Nessuno siamo perfetti manca proprio la vertigine della creazione sclaviana, questa sutura di pezzi diversi volta a creare mostri emotivi e indimenticabili. Questo sonno della ragione affamato d’immagini. È quindi lecito sperare che Sclavi esca prima o poi da questo film che lo cristallizza in maniera impropria, e ricominci a fare quello che sa fare e che nessuno, in Italia, sa fare come lui. Scrivere.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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